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Pagare per morire: è questo che si chiede ai pazienti che vorrebbero accedere al suicidio assistito? Il testo base sul fine vita adottato oggi nelle commissioni congiunte Giustizia e Affari sociali del Senato prevede l’esclusione del Servizio sanitario nazionale. Come voleva Fratelli d’Italia, che ha spinto per la linea più “dura”. Il farmaco, la strumentazione e il personale necessari andranno cercati fuori dalle strutture pubbliche. Ed è questo il punto su cui la distanza tra maggioranza e opposizioni si fa siderale, in un dibattito che va ben oltre il perimetro del Parlamento: dalla galassia pro vita ai professionisti coinvolti nei percorsi di fine vita, passando per il Vaticano.
«Dobbiamo distinguere tra diritti e scelte. Quando siamo di fronte ai primi, i diritti, è evidente che i servizi pubblici debbano rispondere al loro soddisfacimento. Ma in questo caso si tratta di scelte personali, a cui i servizi pubblici non sono tenuti a rispondere», dice Ignazio Zullo, senatore di FdI e relatore del ddl insieme all’azzurro Pierantonio Zanettin. La replica affidata al Dubbio arriva dopo le parole di Filippo Anelli, presidente della Fnomceo (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), che invece pone un tema di equità tra i pazienti, a rischio discriminazione. «Chi prende una decisione così importante e delicata ha necessità di veder rispettata la propria dignità al di là delle possibilità economiche, come evidenzia la Corte Costituzionale e la Costituzione italiana. Il Servizio sanitario nazionale, con tutti i suoi problemi è il luogo, con i medici e gli infermieri che ci lavorano, che difende la dignità delle persone», sottolinea il presidente Fnomceo. Per il quale «la discussione si è troppo ideologizzata».
Il suo è un parere da medico, come medico lo è anche Zullo. Iscritto per altro all’Ordine di Bari, presieduto dallo stesso Anelli. Per l’esponente di Fratelli d’Italia, però, la questione non si pone: «Non è detto che senza Ssn la dignità delle persone non sia rispettata». E la prospettiva va semmai rovesciata: il servizio sanitario deve essere vocato alla vita, non alla morte. Il groviglio sta tutto qui, nei principi stessi che ispirano la norma. Sui quali sarà difficile trattare, anche se Forza Italia e Pd aprono entrambi al dialogo.
«Siamo pronti a lavorare per costruire il più ampio consenso possibile intorno a questa proposta. Siamo disponibili a migliorarla, facendo qualche passo in più, anche attraverso il dialogo con le opposizioni. Fermo restando che Forza Italia garantisce libertà di coscienza», dice il portavoce degli azzurri Raffaele Nevi. Le opposizioni sono già al lavoro per gli emendamenti, il cui termine è fissato per martedì 8 luglio. Con l’obiettivo di arrivare in Aula il 17 luglio. Ma non si tratterà di cavilli o piccole correzioni, e il Pd lo dice chiaro e tondo: meglio nessuna legge, che una cattiva legge, se il rischio è di restringere lo spazio aperto dalla Consulta con la sentenza 242 del 2019.
Il dem Alfredo Bazoli, comunque, non ha «perso le speranze», anche se il testo è «insoddisfacente». Per renderlo digeribile bisognerà partire da uno dei quattro requisiti previsti dalla Corte: che il paziente dipenda da “trattamenti di sostegno vitale”, laddove il ddl della maggioranza parla di “trattamenti sostitutivi di funzioni vitali”. La differenza non è da poco, dal momento che la questione è stata a lungo dibattuta e la stessa Consulta ha allargato il campo alle prestazioni fornite dai caregiver con la sentenza 135 del luglio 2024.
L’altro punto critico riguarda il “comitato nazionale di valutazione”, che secondo l’articolato sarà incaricato di verificare le richieste: le opposizioni chiederanno di rivedere numero e professionalità dei sette componenti previsti, ma soprattutto cercheranno di impedire che siano di nomina governativa. Altrettanto inaccettabile, per il Pd, è il limite di 180 giorni per ripresentare una domanda rigettata (che era già sceso da 4 anni a sei mesi). Mentre una convergenza sarà possibile sulle cure palliative, che il testo della maggioranza mira a garantire in maniera uniforme in tutte le Regioni. Un punto “qualificante”, quest’ultimo, anche per incassare il placet del Vaticano, dove Giorgia Meloni è stata accolta per la prima udienza da Papa Leone XIV. Il tempismo non appare casuale, e l’occasione infatti si è rivelata propizia per un confronto sui temi etici tra la premier e il segretario di Stato Pietro Parolin, che nel loro incontro hanno discusso anche di fine vita.
L’idea di assicurare le cure palliative è condivisa anche dal Pd, a patto che non si tratti di un trattamento sanitario obbligatorio per richiedere il suicidio assistito. Su questo insiste il segretario di +Europa Riccardo Magi, per il quale «l’obbligo di cure palliative come condizione necessaria per accedere al suicidio assistito è un obbrobrio, mentre l’esclusione del Servizio Sanitario Nazionale è classista: ci sarà chi potrà permettersi di ricorrere all’eutanasia e chi dovrà soffrire le pene dell’inferno perché non ha i soldi». Di «esclusione inaccettabile» del Ssn parla anche la senatrice di Avs Ilaria Cucchi, mentre per l’esponente del M5S Mariolina Castellone il testo base ha «cancellato tutto il lavoro fatto dal comitato ristretto» con il risultato di «restringere», anziché «recepire» i dettami della Corte Costituzionale. Che nelle sue sentenze affida al servizio sanitario e ai comitati etici locali il compito di verificare le richieste e garantire le prestazioni.
«Va ricordato che la Corte non ha fissato il diritto al suicidio assistito, ha solo stabilito una scriminante all’interno del codice penale, con riferimento all’articolo 580 (istigazione o aiuto al suicidio, ndr). E sempre la Corte ha indicato tra i requisiti per l’accesso al suicidio assistito il fatto che il soggetto sia libero e cosciente. Per questo, nel testo insistiamo sull’importanza delle cure palliative. Chi soffre in modo insopportabile non è libero. Non c’è l’obbligo di ricorrere alle cure palliative, ma deve esserci ovunque la possibilità di farlo. Le regioni che ricevono i finanziamenti dallo Stato per queste terapie ma li utilizzano per altre finalità, dovranno invece investire nelle cure palliative», puntualizza Zanettin. Non senza sottolineare il «faticoso lavoro di mediazione» che in questi mesi ha avuto luogo al Senato. «Dopo anni in cui si tenta di varare una legge sul fine vita, noi ci vogliamo provare», dice il relatore di Forza Italia. Per buona pace dei Pro vita, che ora chiedono al centrodestra una «retromarcia».