PHOTO
Schlein e Conte
Dietro la cortina fumogena di proclami radicali, campagne social infuocate e gesti da opposizione barricadera, Elly Schlein e Giuseppe Conte stanno costruendo – pezzo dopo pezzo – una fitta trama di inciuci politici. Non solo tra loro, ma anche dentro le rispettive forze politiche, piegando i malumori interni alla logica del co Conte è il campione di questa disciplina. Leader che alterna video o post incendiari a manovre sotterranee di chirurgica precisione.
Ieri, per esempio, uno di questi post è stato riservato al ministro della Difesa Guido Crosetto: «Ma finora dove siete stati?”, tuona riferendosi alla situazione nella Striscia di Gaza, «dov'eravate mentre era in corso di svolgimento un genocidio, con oltre 60mila palestinesi trucidati, tra cui 18mila bambini? Dove eravate mentre sistematicamente venivano uccisi giornalisti e reporter - ancora oggi - tutti scomodi testimoni di questa carneficina?».
Nei giorni scorsi, in Parlamento, Conte aveva già mostrato di saper usare i gesti simbolici come armi, facendo comporre ai suoi deputati una bandiera palestinese con i colori dei vestiti. Ma dietro la propaganda resta l’abilità nel “trattare” al momento giusto. Lo dimostra l’ok alla candidatura del dem Matteo Ricci nelle Marche, nonostante le ombre dell’inchiesta che lo coinvolge personalmente.
Una scelta che, a dispetto di più di una professione di garantismo dei compagni di partito della presidente del Consiglio, ha innescato i polemisti più abili di Fratelli d’Italia: «Conte, per Fico, ha chiuso occhi e bocca su Ricci», ha accusato il capogruppo meloniano alla Camera Galeazzo Bignami, ricordando anche altri «privilegi da Prima Repubblica» dell’esponente Pd.
E ancora, il via libera alla ricandidatura di Eugenio Giani in Toscana, nonostante anni di scontri in Consiglio regionale.
Conte è arrivato al risultato impostando il quesito per la consultazione online del M5S con una perizia linguistica da manuale: toni sfumati, premesse edulcorate, zero riferimenti espliciti alle criticità. Tradotto: un capolavoro di vaghezza. Obiettivo centrato: senza ingoiare quei due bocconi amari, non avrebbe avuto strada spianata per piazzare il “suo” Roberto Fico in Campania e forse Pasquale Tridico in Calabria.
Schlein, dal canto suo, anche se non ha raggiunto le vette dell'ex- premier, si è distinta anch'essa come virtuosa della realpolitik.
Nei comizi continua a picchiare duro contro la destra: «Siamo uniti per costruire alleanze che ci permettano di vincere le regionali», ha ribadito alla Festa dell’Unità di Villadossola, accusando il governo Meloni di «tagliare sanità e scuola per favorire i privati» e rivendicando ancora una volta un Pd «testardamente unitario».
Lontano dai palchi, la leader dem tratta eccome coi potentati locali. In Campania, il braccio di ferro col governatore uscente e non più ricandidabile Vincenzo De Luca si è ormai trasformato in una negoziazione sulla successione interna al Pd regionale, che potrebbe finire nelle mani del figlio Piero, deputato. Un’ipotesi che fino a poche settimane fa i vertici nazionali giudicavano impensabile, ma che ora appare come l’esito più probabile.
In Toscana, la segretaria ha tentato di cambiare cavallo, cercando un’alternativa a Giani sotto il pressing pentastelalto, salvo poi doversi arrendere alla forza dei numeri e alla fedeltà che circonda il governatore uscente.
Il copione appare chiaro: Conte e Schlein marciano separati sul piano della comunicazione, alimentando le rispettive tifoserie con toni da campagna permanente, ma convergono quando c’è da blindare candidature, siglare accordi o preservare equilibri interni.
Il risultato è una sequenza di compromessi che cementano l'accordo tra i due partiti, una convergenza tattica in vista dell'alleanza che dovrà portarli a braccetto alle prossime Politiche. Il problema, però, è arcinoto: a livello locale, seppure a seguito di manovre spericolate, allearsi è più facile, poiché non implica una linea comune sui grandi temi della politica economica e soprattutto internazionale.
La politica italiana ha visto nascere e morire molti matrimoni di convenienza, e non è la prima volte che leader così diversi nello stile marciano insieme con tanta disinvoltura. Forse è proprio questa abilità a rendere l’inciucio un’arte, ma è anche ciò che, prima o poi, presenta il conto agli occhi di chi vota, e la storia degli ultimi trent'anni, sul fronte progressista, insegna che un patto che si fonda su tali premesse può anche fare breccia nelle urne, ma difficilmente resiste alla prova del governo nazionale se non si fonda su un compromesso reale e duraturo sui grandi temi.