Maggioranza che vai, Giuseppe Conte che trovi. Il presidente del consiglio archivia definitivamente l’esperienza del governo precedente, il suo, mandando in soffitta o modificando i provvedimenti bandiera dell’era giallo- verde. Sarà così con quota 100, che a partire dal 2022 non verrà più rinnovata, sarà così con il reddito di cittadinanza, a cui il premier vuol fare un tagliando per perfezionare la parte relativa alle politiche occupazionali, e sarà così anche per i decreti sicurezza, nel mirino del Pd fin dal varo del nuovo esecutivo.

Le metamorfosi di Conte non conoscono rossori, l’avvocato del popolo si adatta a qualsiasi contesto politico senza impuntarsi troppo. Così, Conte due archivia Conte uno come se quello di prima fosse un altro. Abile mediatore e attendista consumato, il presidente del Consiglio si limita a prendere atto di una variazione nei rapporti di forza delle sue maggioranze e agisce di conseguenza. L’ha fatto per un anno con la Lega, intento a smistare il traffico di pretese tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, e lo fa oggi col Partito democratico all’indomani della disfatta grillina alle Regionali. E se Nicola Zingaretti vuole passare all’incasso trova in Conte un leader comprensivo, disposto a sacrificare il sacrificabile, ma sempre vigile a non indispettire troppo chi l’ha portato a Palazzo Chigi.

Da dove cominciare dunque a onorare il nuovo alleato uscito solido dalle urne se non consegnando una delle bandiere dell’epoca leghista? Quota cento - la riforma pensata per consentire di andare in pensione a 62 anni con almeno 38 anni di contributi, superando alcune lacune della legge Fornero non è mai piaciuta al Pd. E adesso, a quanto pare, non fa più impazzire nemmeno il premier che l’aveva varata. «È un progetto triennale ed era un progetto di riforma che veniva a supplire a quello che era un disagio sociale che si era creato», spiegava pochi giorni fa il capo del governo. «È stata un’offerta temporanea triennale, che scadrà l’anno prossimo. Non è all’ordine del giorno il rinnovo di quota 100», ha aggiunto. Eppure, a mandare in pensione la riforma delle pensioni è lo stesso Conte che due anni fa definiva non solo «giusta» la legge voluta da Salvini, ma anche «il pilastro della manovra», che avrebbe generato «due o tre» nuovi posti di lavoro per ogni persona in uscita. Oggi quel pilastro crolla, schiacciato dal peso di nuove alleanze, con buona pace di Matteo Salvini, ormai confinato al consenso virtuale della Rete, che twitta: «Vogliono tornare alla Legge Fornero!?!?! La Lega non glielo permetterà, promesso. Non si scherza con i sacrifici di milioni di lavoratrici e lavoratori italiani».

Ma il leader del Carroccio, per il momento, non rovina più i sonni dell’inquilino di Palazzo Chigi. Semmai, bisogna mettere qualcosa in più sul piatto di Zingaretti per placare gli appetiti del Pd. Un ritocco al reddito di cittadinanza, paradossalmente poco amato dal maggior partito della sinistra, potrebbe essere la pietanza giusta. Senza esagerare però, nello stile Conte. «Siamo assolutamente in ritardo su un aspetto: ovvero, per quanto riguarda il progetto di inserimento nel mondo del lavoro», concede subito il capo del governo, già al lavoro per verificare il lavoro dei “navigator” e “punire” i percettori di reddito scoperti a rifiutare proposte di lavoro. «Dopo l'avvio della riforma del reddito di cittadinanza dobbiamo completare quest'altro polo. Riorganizzare una sorta di network per offrire un processo di formazione e riqualificazione dei lavoratori che coinvolge l'Anpal e gli uffici regionali. Dobbiamo costruire un percorso coordinato». Di Maio acconsente, consapevole sia dei limiti oggettivi della riforma che delle richieste insistenti degli alleati. Un problema in meno per Conte, che da mesi prende tempo per mettere mano all’altro dossier caro al Pd: i decreti sicurezza. Una revisione radicale delle leggi salviniane indispettirebbe parecchio anche una parte consistente del Movimento 5 Stelle. Così il premier annuncia ogni giorno novità ma il testo definitivo non vede mai la luce. «I decreti Salvini, con la sicurezza degli italiani non c’entravano nulla, anzi erano i decreti paura», incalza a intervalli regolari Zingaretti. «Abbiamo discusso per mesi, la ministra Lamorgese ha detto da settimane che l’accordo è pronto, io trovo naturale rispettare questo punto. Sono convinto che nei prossimi giorni, nelle prossime ore questo avverrà», aggiunge il segretario.

Per tutta risposta Conte prende tempo, come ha imparato a fare sul Mes. Ma è proprio questa strategia a cominciare a insospettire i leader della sua maggioranza, Di Maio e Zingaretti, sempre più intenzionati a ridimensionare il potere di Palazzo Chigi per non fare la fine di Salvini. Perché potrebbe sempre esserci un Conte tre a rinnegare un Conte due.