Il professor Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Roma Tor Vergata, insieme agli avvocati Bertolissi, Sau e Isola il 15 febbraio scorso ha difeso dinanzi alla Corte Costituzionale i quesiti referendari sulla “giustizia giusta” promossi da Lega e Partito Radicale. Con lui oggi approfondiamo quello relativo agli abusi della custodia cautelare.

Professore, spieghiamo bene cosa accadrebbe se passasse il quesito? 

Per usare le parole della Corte costituzionale che, con l’approfondita sentenza 57/2022 ha dichiarato l’ammissibilità del quesito, il referendum “investe unicamente l’esigenza cautelare consistente nel pericolo di commissione di delitti della stessa specie”. L’oggetto è dunque relativo al rischio di recidiva specifica dell’indagato o imputato. In buona sostanza il quesito lascia inalterate le altre esigenze cautelari e in particolare quella relativa al rischio di inquinamento delle prove o di pericolo di fuga, nonché quelle legate al rischio che l’indagato o l'imputato commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata. Esso si concentra solo sul principio secondo il quale chi è indagato o imputato per un certo reato possa essere sottoposto a misure cautelari se vi è il rischio che commetta un nuovo reato della stessa specie. Ciò che viene colpita non è dunque l’idea che si possano imporre misure cautelari per prevenire il rischio di commissione di altri reati, ma che il fatto stesso che questo rischio riguardi reati della stessa specie può essere presupposto per l’applicazione della misura. Infatti qualora vi sia il rischio di commissione di “gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata”, siano o meno essi “della stessa specie” di quello per cui si procede, la possibilità di misura cautelare rimane intatta. Aggiungerei, a titolo informativo, che questa ipotesi della recidiva non esisteva originariamente nel nostro ordinamento, ma è stata introdotta nel 1995. Anzi, la funzione di prevenzione delle misure cautelari costituisce uno sviluppo ulteriore dell’istinto che, come ha ricordato la Corte costituzionale nella sent. 64/1970, e come ricorda la sentenza di oggi (la scorsa settimana, ndr), aveva come ambito proprio di operatività la garanzia di esigenze meramente processuali (pericolo di inquinamento, pericolo di fuga).

Perché dovremmo votare sì? 

Non spetta a me pronunciarmi in questa sede a favore o contro la scelta politica, che il referendum rimette al corpo elettorale. Mi limito, visto che mi pare questo il senso della sua domanda, a descrivere le ragioni che i promotori hanno avanzato. Sicuramente essi partono dal presupposto che la disposizione colpita abbia consentito un uso eccessivo delle misure cautelari e della custodia cautelare in particolare. Ma la motivazione addotta non è solo di fatto. È anche di principio. Si contesta cioè l’idea che qualcuno la cui responsabilità non è ancora stata accertata, che sia dunque sospetto ma goda della presunzione di non colpevolezza, possa subire l’eventualità di una misura cautelare che non sarebbe applicabile agli altri cittadini. Con una battuta si potrebbe dire che la misura in questione si fonderebbe su “un sospetto basato su un sospetto”: sospetto di reiterazione del reato nei confronti di chi è solo sospettato di aver commesso quel reato, ma non è ancora stato dichiarato colpevole.

Il titolo di un articolo a firma di Piercamillo Davigo sul Fatto recita così: “se passa il referendum di Salvini si dovranno lasciare liberi ladri, bancarottieri e corruttori. Ma si rende conto che nelle carceri italiane circa un terzo dei detenuti sono stranieri irregolari che verrebbero quasi tutti scarcerati?”. Si verificherebbe davvero questo scenario che l'ex magistrato ci presenta come apocalittico?

Non ho letto l’articolo. Limitandomi alla sua citazione, non condivido le parole del dottor Davigo, per due ragioni, di metodo e di merito. Di metodo, perché chi stato magistrato della Repubblica non dovrebbe esprimersi in termini così generici e allusivi, che appartengono più alla logica della propaganda che a quella del dibattito. Nel merito non le condivido perché, da un lato è falso che i sospetti autori dei delitti citati non possano essere sottoposti a misure cautelari in assoluto. In secondo luogo perché Davigo omette di ricordare che, a prescindere dal resto, le misure cautelari sono applicabili sempre allorché vi sia il rischio che siano commessi “gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata”. In questo contesto agitare lo spettro degli stranieri irregolari che scorrazzano per il Paese minacciando la sicurezza dei cittadini, oltre a essere generico, e quindi in termini assoluti, falso, mi pare solleticare le peggiori pulsioni qualunquiste, razziste e xenofobe.

Molti criticano il quesito perché riguarderebbe anche il reato di stalking. È così?

A me sembra che la questione sia di interpretazione giuridica che saranno gli organi giurisdizionali a valutare. Mi limito a segnalare che la previsione delle esigenze cautelari per delitti con uso di “mezzi di violenza personale”, che non sarebbero colpite dal referendum, offrono un legittimo spazio interpretativo, atteso che la Cassazione ha già riconosciuto che la violenza personale non si limita a quella fisica, ma può estendersi in determinate circostanze (per esempio in caso di abuso di mezzi di correzione dei minori) anche a forme di violenza psichica, vessatorie, di umiliazione della dignità personale. Aggiungo che il referendum colpisce il principio che attribuisce una specifica rilevanza al rischio di recidiva, ma non impedisce al legislatore di individuare ulteriori casi, particolarmente gravi, in cui possono essere previste esigenze cautelari, anche eventualmente non custodiali. Si pensi all’allontanamento dalla casa familiare (282-bis c.p.p.) o al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (282-ter c.p.p.).