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IMAGOECONOMICA
Come nella Bicamerale (’97-'98) per le riforme istituzionali, che approvò alcuni cambiamenti importanti per la giustizia, ma poi naufragò anche per il no della sinistra alla separazione delle carriere, Marcello Pera torna a invitare Massimo D’Alema, che presiedeva quella super commissione bipartisan, sulla base di un accordo con Silvio Berlusconi, a dire ora sì al referendum sulla riforma Nordio. «Anche se lui dice di essere fuori dalla politica, mi aspetto che lo faccia per l’autorevolezza che ha», afferma il senatore-filosofo, liberale, studioso di Karl Popper, autore di libri con Papa Ratzinger, ex presidente del Senato, che il centrodestra inserì nella rosa dei nomi per il Quirinale. Pera ricorda una visita ufficiale in Usa come seconda carica dello stato, quando la Corte Suprema gli disse che era “incomprensibile” il nostro ordinamento. «Ora», chiosa, «con il sì, al referendum, spero che l’Italia diventi simile all’Occidente».
Professor Pera, da responsabile giustizia di Forza Italia, lei era l’altro perno della Bicamerale presieduta da D'Alema. Seppur non fu approvata la separazione delle carriere, anche perché lo stesso D'Alema, allora segretario del Pds poi leader dei Ds, votò contro, quel lavoro fu comunque utile al risultato di ora?
La separazione delle carriere non fu approvata perché il presidente D’Alema, con il Pds, era fermamente contrario, al pari di Prodi e dei Popolari. Per non parlare dell’Anm e di celebri magistrati che intervennero pesantemente. Marco Boato, che presiedeva il Comitato del sistema delle garanzie, dovette abbozzare. Si votarono però i due Csm. Questa, assieme al pasticcio presidenzialista confezionato da Leopoldo Elia, è una delle ragioni fondamentali per cui Berlusconi fece saltare tutto in aula alla Camera. Il Pds non poteva consentirsi di disobbedire ai magistrati, che con loro erano tanto carini, e però anche minacciosi. Ricordo l'avviso di garanzia del tutto fasullo recapitato durante i lavori all'illustre esponente della Bicamerale, senatore Ortensio Zecchino.
Cosa si aspetta ora dallo stesso D'Alema, presidente della Fondazione Italianieuropei, seppur lui ribadisca di essere fuori dalla politica, ma solo “fornitore di idee”?
Mi aspetto che D’Alema dica, con la sua autorevolezza, che è a favore della separazione. Se è vero che non conta nulla, non ci rimette neanche nulla. Se invece conta molto, come io credo, ci guadagna in statura di uomo di stato. Perché D’Alema sa bene che quella è una battaglia di civiltà giuridica e di libertà. E perché la sua vecchia scuola Pci non era favorevole ai pm liberi e sciolti, autonomi e indipendenti.
Paradossalmente Antonio Di Pietro è per il sì (come ha spiegato a "Il Dubbio", è d’accordo perché «Berlusconi non c'è più»), mentre il Pd e tutta la sinistra (con i più prevedibili Cinque Stelle) sono fermi al No. Matteo Renzi, con Iv, che si definisce centro "garantista", si è persino astenuto. Siamo al mondo capovolto?
Di Pietro si è pentito. Quanto a Renzi, ha mostrato che agisce con l’etica della convenienza e mai della convinzione. Lui è a favore della separazione, ma ora è intenzionato a piazzare il suo uovo del cuculo nel campo largo e si astiene. Che tristezza: al Senato il miglior intervento a favore della separazione l’ha fatto il senatore renziano Ivan Scalfarotto, che ha concluso: siccome sono a favore di questo disegno di legge, non lo voto!!
Pera oggi è senatore, eletto come indipendente con FdI, che con il ministro Carlo Nordio, eletto anche lui con il partito della premier Giorgia Meloni, ha firmato la riforma. La destra ha fatto una vera svolta garantista?
La destra è come la grande proletaria di Pascoli: s’è mossa. Ma non da oggi. Ricordo che tutti i membri della commissione giustizia di Alleanza Nazionale, da Peppino Valentino a Antonino Caruso a Ettore Bucciero a Antonio Battaglia, votarono convintamente la riforma dell’art. 111 della Costituzione, che è la mamma e il babbo della separazione delle carriere. La destra sta perseguendo una vecchia battaglia liberale e di libertà. Buona notizia.
Cosa pensa delle posizioni contrarie dell'Anm, con un comitato per il No, e di certa campagna di altri anche a suon di falsificazioni di dichiarazioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?
L’ho detto in Aula. Intestandosi il Comitato del No, l’Anm si trasforma automaticamente in soggetto politico. A quel punto, o perde e allora sarà un piccolo soggetto insignificante da campo largo e morto, o vince e allora sarà il partito che guida tutto il campo largo, con il Pd al traino. Un disastro per la credibilità dei magistrati in entrambi i casi. Possibile che tanti autorevoli, saggi, moderati, magistrati (soprattutto giudici, ma anche molti pm) non abbiano capito la sciagura a cui li porta il presidente dell’Anm? Possibile che nessuno se ne esca con una pubblica presa di distanza? Quanto a Falcone, e anche Borsellino, il procuratore Gratteri l’ha fatta fuori dal vaso e poi è scivolato sul pavimento.
Come presidente del Senato lei incontrò, caso unico, in visita ufficiale (dopo quella alla Casa Bianca dall’allora vicepresidente Dick Cheney, nel 2002, meno di un anno dopo l’11 settembre 2001) la Corte suprema degli Stati Uniti. Le dissero qualcosa in proposito?
Ho una memoria indelebile di quell’incontro, seguito da una colazione. Ad un certo punto mi chiesero notizie della nostra questione giustizia, che allora varcava i confini, e io cercai di spiegare come era fatto il nostro ordinamento del pubblico ministero, che è un magistrato come il giudice e nella stessa carriera del giudice. Il presidente, non lo dimenticherò mai, mi disse: «It’s not unbelievable, it’s incomprehensible!». Spero che con un sì al referendum gli elettori spazzino via questo mostro. Diventeremo simili all’Occidente.


