«Voterò Sì al referendum sulla riforma della giustizia con la separazione delle carriere, approvata dalla maggioranza del governo Meloni, perché ero già a favore della riforma di Giuliano Vassalli, che andava completata. Non ero invece d’accordo con la riforma di Silvio Berlusconi e la sua demonizzazione dei magistrati». Parla Antonio Di Pietro, in esclusiva per Il Dubbio. L’ex pm di Mani pulite ed ex ministro del governo Prodi apprezza anche l’istituzione di due Csm come fattore di «trasparenza» contro le correnti. E sull’opposizione del centrosinistra dice: «Non condivido le posizioni preconcette contro i provvedimenti della premier Giorgia Meloni».

Dottor Di Pietro, il suo Sì al referendum sta suscitando molta attenzione, e anche polemiche politiche, da sinistra e da una parte dei media, 5 Stelle e “Fatto quotidiano” in testa. Perché voterà Sì?

Perché il testo dell’attuale riforma costituzionale costituisce la naturale e logica conseguenza di quella con cui nel 1989 venne modificato il processo penale da inquisitorio, in cui il giudice istruttore faceva le indagini e poi decideva egli stesso se le sue indagini erano state fatte bene o meno, ad accusatorio, in cui le indagini vengono ora svolte dal pubblico ministero, e poi un giudice “terzo” decide sulla bontà delle stesse. Conseguentemente, a me pare logico che le due distinte funzioni siano affidate a soggetti non facenti parte della stessa squadra e che non siano più interscambiabili fra loro.

Travaglio la accusa di contraddizioni. Come risponde?

Ho molta stima e rispetto per il dottor Travaglio, e ogni sua critica è per me uno stimolo a fare meglio. Travaglio questa volta mi rimprovera del fatto che io negli anni passati ero contrario alla separazione, e quindi non comprende il motivo per cui io ora abbia cambiato idea. In realtà io sin dal 1989 sono stato un convinto sostenitore della separazione delle carriere, ma poi, con l’avvento al potere politico-istituzionale di Silvio Berlusconi, ho dovuto prendere atto che costui voleva utilizzare tale separazione anche per sottoporre il pm al potere politico-esecutivo, e allora ho più volte espresso la mia contrarietà. Ora però che Berlusconi, pace all’anima sua, e la sua idea fissa di demonizzare i magistrati per sottrarsi alla giustizia non ci sono più, è tempo di riprendere il filo di quel discorso iniziato nel 1989 con la riforma del sistema penale accusatorio, rimasta finora incompiuta.

Cosa pensa degli altri aspetti chiave della riforma, incluso il sorteggio dei togati nei due futuri Csm? Si riuscirà davvero a neutralizzare le correnti?

Il sistema delle correnti all’interno dell’Anm ha finora gravemente condizionato sia la composizione dei membri del Csm sia la progressione in carriera e le stesse vicende disciplinari dei magistrati. Quindi, il sorteggio è, a mio avviso, un metodo di scelta più trasparente nell’individuare chi deve andare al Csm e ricoprire un incarico così delicato. D’altronde il sorteggio avviene tra gli stessi magistrati, e pensare che un magistrato che da solo può chiedere o disporre la condanna al carcere di una persona non sia poi in grado di partecipare a un organo collegale di trenta persone, mi pare una vera e propria assurdità.

Come giudica la campagna referendaria per il No annunciata dall’Anm, peraltro con un comitato nella sede dell’associazione, dentro lo stesso palazzo in cui ci sono gli uffici della Cassazione?

Personalmente riconosco il pieno diritto dell’Anm a partecipare alla campagna referendaria per far conoscere ai cittadini il proprio punto di vista, purché si attenga al quesito referendario e non faccia da sponsor a questo o quel partito politico. Nel palazzo della Corte di Cassazione, in realtà, sono ospitate anche altre associazioni ed enti, c’è anche un ufficio dell’Ordine degli avvocati, e francamente non mi pare di per sé scandaloso.

Vassalli, ministro della Giustizia per il Psi di Bettino Craxi, e appunto autore, nel 1988, della prima riforma sull’allora separazione delle funzioni, parlò, in una celebre intervista al Financial Times, di una particolare trama di rapporti che il Pci già da allora stava costruendo con settori della magistratura. C’è stato un uso politico della giustizia da parte delle cosiddette “toghe rosse” contro gli avversari della sinistra?

Parlo per me, e io metto la mano sul fuoco nell’affermare che non ho mai agito su impulso di una qualsiasi fazione politica, né ho svolto il mio lavoro di pm per fini politici. Accetto che le indagini da me svolte all’epoca di Mani pulite possano essere criticate sul piano del merito, ma respingo con fermezza qualsiasi fine politico nel mio lavoro da magistrato. Rammento che chi ha sostenuto il contrario è già stato condannato per diffamazione.

Lei ha accusato Berlusconi di aver personalizzato, politicizzandola, la riforma della giustizia. Ma non ritiene che più di 100 processi da quando è sceso in politica, da che era un cittadino incensurato quando faceva solo l’imprenditore, lo abbiano autorizzato a parlare di “uso politico della giustizia” nei suoi confronti?

Ancora una volta parlo per me: io ho inquisito una sola volta Silvio Berlusconi, il 21 novembre del 1994 per vicende legate a tangenti ad esponenti della Guardia di finanza. Quello stesso giorno però una manina occulta, ma io so chi è, ebbe a recapitare un busta contenente un falso dossier contro di me nella cassetta delle lettere della casa privata dell’allora Capo degli ispettori del ministero della Giustizia, e conseguentemente venne aperto su di me un grave procedimento disciplinare con risvolti penali, a seguito del quale io, il successivo 6 dicembre 1994, mi sono dimesso per non infangare il lavoro che fino ad allora avevo svolto. Ma questa è un’altra storia e lasciamola agli storici (salvo precisare che, poi, negli anni successivi, su quel dossier si scavò a fondo e venne fuori non solo che era basato su accuse false nei miei riguardi ma vennero anche condannati gli autori materiali!).

Cosa pensa della sentenza con cui la Cassazione, dopo trent’anni, ha stabilito che non ci furono legami tra Berlusconi, Dell’Utri e la mafia?

Le sentenze della Cassazione si rispettano sempre, piaccia o non piaccia: questo vale per me e deve valere anche per gli altri.

Di Pietro, l’ex pm di Mani pulite ma anche ex ministro alle Infrastrutture del secondo governo Prodi e fondatore dell’Italia dei Valori, ora per paradosso appare all’opinione pubblica più garantista dello stesso centrosinistra di cui era alleato. Come giudica la posizione dei suoi ex alleati politici?

Molto preconcetta e sempre contraria a priori rispetto a quel che fa il governo Meloni, mentre io credo che i provvedimenti governativi vadano valutati ciascuno per il loro merito. Per quanto mi riguarda, io ne ho criticati molti ma ne ho anche apprezzati altrettanti. Ad esempio, apprezzo taluni aspetti della politica estera del governo, come la posizione sulla questione palestinese, ma non ne condivido altre, come il non riconoscimento del salario minimo a tutti i lavoratori, e così via.

Lei da tempo non fa più politica: è avvocato. Ma Di Pietro si sente uomo di destra o di sinistra?

Ma perché mi vuole rinchiudere dentro un astratto schematismo quali sono i concetti di destra e di sinistra ai giorni nostri dove, in ognuno dei due schieramenti, c’è tutto e il contrario d tutto? Alla mia età, 75 anni suonati, ho bisogno di sentirmi libero di pensarla come mi pare e, quando andrò a votare, di decidere, di volta in volta, a chi dare la mia fiducia sulla base della storia personale di chi mi viene offerto come candidato.