Avvocato Valerio Spigarelli, già presidente dell’Unione Camere Penali, perché ha aderito al Comitato per il Sì alla separazione delle carriere Pannella Sciascia Tortora del Partito Radicale?

Le battaglie dei radicali per la separazione delle carriere sono state portate avanti sempre con una linea di continuità assoluta. Il referendum del 2000 raccolse 10 milioni di voti a favore: non si riuscì a vincerlo semplicemente perché non raggiungemmo il quorum e perché qualcuno si sfilò all'ultimo momento, quel qualcuno era Silvio Berlusconi. Se ne fece un altro nel 2013: anche allora fu una questione di mancato raggiungimento del quorum per la raccolta delle firme ma se ne raccolsero migliaia. Oggi abbiamo l’occasione di portare a compimento questa storia.

Ma i cittadini ne capiranno l’importanza?

A un imputato e ai suoi familiari non glielo devi neanche spiegare: non appena si finisce coinvolti in un processo penale lo si capisce al volo che servirebbe maggior distanza tra il pm e il gip nelle indagini, e tra il pm e il giudice nel dibattimento. D'altronde è intuitivo: l’arbitro non può indossare la maglietta di una delle due squadre.

Non sarà mai una partita ad armi pari. Quando parliamo della separazione delle carriere parliamo di una idea che completa quella del giusto processo dell'articolo 111 Cost. secondo il quale il giudice deve essere terzo e imparziale.

Ci spiega bene che significa?

Molti dei nostri interlocutori fanno finta di non comprendere l’espressione “terzo e imparziale”, che è già nella Carta, e allude a due cose diverse. L'imparzialità è nel processo: il giudice deve essere imparziale perché come persona fisica non deve essere legato agli interessi di una delle due parti e non può avere espresso la sua opinione al di fuori del processo. Ciò è garantito da istituti come l’astensione e la ricusazione. La terzietà, invece, riguarda la posizione ordinamentale del giudice. Egli, di fronte ai due elementi che sono in gioco - il diritto di libertà da un lato e la pretesa punitiva da un altro lato - deve avere una posizione di equidistanza ordinamentale sia dall’uno che dall’altro.

Si discute molto della eventuale politicizzazione del referendum.

Le ragioni del Sì saranno facilmente comprese. Mentre il problema sarà disincagliare il dibattito da una politicizzazione deteriore. Il referendum è un evento politico perché muta la Costituzione e garantisce una magistratura compatibile con l’accusatorio e con l'articolo 111 Cost. Quindi è ovviamente una questione politica, ma di alta politica. Non di quella “politica politicante”, come avrebbe detto Marco Pannella, che prescinde dalle questioni in discussione per fare gli interessi politici di bottega e quindi radicalizza la questione, la fa diventare un voto ” Meloni sì- Meloni no” prescindendo da quello che è in ballo.

Lei si riferisce anche alla Anm quando parla degli interessi di bottega?

La magistratura, in particolare il suo sindacato, si oppone alla separazione delle carriere o per interessi corporativi o semplicemente perché tende a far valere quello che ha sempre fatto valere: una concezione proprietaria della giustizia per cui in questo campo si fa solo quello che vogliono loro. Dico cose che stanno nella storia parlamentare italiana. Ricorderete tutti la bicamerale D’Alema: Marco Boato, che certo non è sospettabile di simpatie a destra, racconta che tra le cose che bloccarono una scelta - che oggi molti costituzionalisti di sinistra, come Barbera, ci raccontano maturata, o che stava maturando, anche a sinistra - fu un diktat di settanta procuratori della Repubblica che scrissero direttamente al Parlamento di non fare la riforma, e così avvenne. Ma nessuno si può sentire, o pretendere di essere, il padrone dei destini della struttura della giustizia.

Tra gli oppositori alla riforma si usa il pensiero dei morti, a partire da Giovanni Falcone. Il nostro Damiano Aliprandi però li ha smascherati.

Purtroppo trionfano le fake news. Io non sono molto legato ai richiami al passato, come quello sul fatto che Falcone era favorevole. Lo era, ma io preferisco stare all’oggi. Però obiettivamente quando sento il procuratore Gratteri che legge in televisione un'intervista di Falcone che non si rivela vera, allora penso che il problema del controllo della qualità delle informazioni in questa campagna ci sarà. Ed anche della qualità. Si utilizzano argomenti che, in bocca dei giuristi, fanno un po' sorridere perché sono di una illogicità disarmante. Prima sostengono che i pm finiranno sotto l’Esecutivo – previsione assente nella riforma – e quindi saranno debolissimi.

Allo stesso tempo ci dicono che diventeranno troppo forti, troppo autonomi perché avranno un loro CSM e quindi faranno quello che gli pare. Un po’ contraddittorio non pensa? Il tutto – e questo è il terzo punto – mentre proclamano che la separazione è inutile perché di fatto già c’è dopo la riforma Cartabia e la faccenda riguarderebbe una ventina di magistrati l’anno. Il che decapita in una volta sola altri due pericoli che invocano. In primo luogo, se già c’è, non dovrebbe essere così pericolosa come viene dipinta. Ma poi, se davvero i passaggi di carriera tra pm e giudici sono una manciata ogni anno, cade la favola della comune “cultura della giurisdizione” che impedirebbe oggi ai pm di diventare superpoliziotti.

Se già oggi uno che inizia a fare il pm continuerà a farlo per tutta la sua vita professionale dove se la formerà la cultura comune con il giudice? Nei consigli giudiziari? Nelle riunioni di corrente? Penso che se un imputato dicesse in fila queste tre cose immediatamente il processo si bloccherebbe perché si riterrebbe necessario valutare la capacità di stare in giudizio di uno che utilizza la logica in una maniera così incredibile.

L’altra obiezione è che siamo sempre di più in una deriva autoritaria della maggioranza di Governo.

Il concetto dell'unitarietà della magistratura è un concetto che venne presentato a sua eccellenza Mussolini dall'allora ministro Grandi, che glielo illustrò proprio come segno distintivo di un ordinamento conforme allo spirito dello stato autoritario. E’ una vera truffa quella di chi tenta di scambiare la separazione tra giudice e pm - peraltro presente nella stragrande maggioranza dei Paesi democratici - come un tratto dal segno autoritario. E vorrei aggiungere un'altra cosa su questo.

Prego.

Come ha ricordato il professor Spangher la VII disposizione transitoria della Costituzione diceva che ci saremmo dovuti dotare di un ordinamento giudiziario conforme alla Carta. Ebbene ogni volta che si è tentato di modificare l'ordinamento giudiziario la magistratura si è opposta. All'epoca della riforma Castelli, nel 2006, dissero che aveva un tratto autoritario e iniziarono a sfilare alle manifestazioni di inaugurazione dell'anno giudiziario con la Costituzione in mano.

Poi negli anni successivi, dopo aver gridato all'attentato alla Costituzione, dissero che la Castelli andava bene. Stessa cosa fecero con la legge Cartabia contro la riduzione dei passaggi da una funzione all’altra. Prima si opposero e oggi la glorificano perchè è proprio la legge Cartabia che richiamano per dire: “perché volete fare la separazione se già c’è?”. È un altro di quegli argomenti illogici che circolano: non puoi dire che c'è una scelta talmente terribile da segnare un'involuzione autoritaria e poi glorificare la medesima cosa per opporti di nuovo. Ma il vizio della conservazione è storia antica: nel 1989 larga parte della magistratura dell’epoca si oppose all’entrata in vigore del codice Vassalli.

L’allora procuratore Maddalena sosteneva che con il nuovo codice la criminalità avrebbe fatto quello che gli sarebbe parso e piaciuto. Ora dicono di essere sempre stati per l’accusatorio. Stessa faccenda per la Procura nazionale antimafia: quando la propose Falcone le correnti di sinistra urlarono al cataclisma democratico poi è diventata un usbergo della democrazia giudiziaria. In realtà c'è un retroterra culturale non dichiarato nella magistratura italiana, a favore della conservazione dello status quo quale assetto del potere interno, che non vogliono modificare per timore di perderne un po’.