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OLIVIERO MAZZA DOCENTE UNIVERSITA' DI MILANO
Avvocato Oliviero Mazza, Ordinario di Diritto processuale penale all’Università degli studi Milano-Bicocca, Marco Travaglio ha scritto che a causa della riforma della separazione delle carriere verranno moltiplicati gli errori perché il pm si trasformerà in un “avvocato dell’accusa”. Che ne pensa?
Il giusto processo accusatorio, fondato sulla parità fra le parti e la terzietà del giudice, non è solo il nostro modello costituzionale dal 1999, ma anche il miglior sistema finora conosciuto per approssimarsi alla verità. Travaglio, dunque, non solo rinnega la Costituzione, e a questo punto verrebbe da chiedersi chi è davvero contro la Carta fondamentale, ma anche l’epistemologia dominante che da Popper in poi crede che il metodo dialettico falsificazionista sia il migliore strumento di conoscenza. A meno che Travaglio, ispirato dal Davigo d’un tempo, non ritenga che l’assoluzione dell’imputato sia sempre un errore giudiziario, e questa potrebbe essere una spiegazione coerente con il pensiero autoritario e giustizialista di cui è alfiere.
L’articolo 358 cpp recita: “Il pubblico ministero svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”.
Questa è una disposizione curiosa. Mai applicata, anche di recente la Cassazione ha escluso che dalla sua inosservanza derivi una qualsivoglia invalidità, così sancendone ufficialmente la totale disapplicazione. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 96 del 1997, ne ha spiegato l’unico senso possibile, ossia che il pm prima di esercitare l’azione, nel formulare la sua ragionevole previsione di condanna, deve tener conto anche degli elementi a discarico eventualmente emersi durante le indagini, ma non è certo tenuto a verificare il tema di prova rappresentato dall’innocenza dell’indagato. E ciò per una ragione tanto banale quanto evidente: l’imputato è presunto innocente. Se l’innocenza è presunta, non può certo essere un tema di prova, meno che mai per il pm che piuttosto dovrà cercare di vincere la presunzione costituzionale.
In definitiva, non è una disposizione dalla quale si può desumere un ruolo del pm diverso da quello di parte.
La mia esperienza conferma quanto ho appena detto, il pm è interessato a ricercare gli elementi a carico ed è giusto così, dato che deve verificare la fondatezza della sua ipotesi smentita in partenza dalla presunzione d’innocenza. Se poi nel corso delle indagini si imbatterà in elementi a favore dell’indagato dovrà tenerne conto nel decidere se esercitare o meno l’azione penale, proprio nell’ottica di una ragionevole previsione di successo della sua iniziativa. Tutto qui.
Secondo lei c’è un effettivo controllo dei giudici sul lavoro dei pm?
Bisogna essere chiari: il giudice del dibattimento non controlla il pm, ma è chiamato a giudicarne il lavoro ossia l’ipotesi di responsabilità contenuta nell’imputazione, un controllo successivo su un atto già compiuto. Una vera funzione di controllo è attribuita, invece, al gip nella fase delle indagini quando l’attività del pm deve essere preventivamente autorizzata, in quanto potenzialmente incidente sui diritti fondamentali, pensiamo alle misure coercitive, alle intercettazioni, alle perquisizioni e ai sequestri. In quella fase il gip è il garante dei diritti e il controllore del pm al quale non è consentito, di regola, incidere direttamente sui diritti dell’indagato. Ogni atto del pm che ha ricadute sui diritti fondamentali deve essere preventivamente vagliato dal gip. Ed è proprio in questa fase, dove si colloca il vero controllo, che manca la terzietà. Quante sono, in percentuale, le richieste di misure cautelari o di autorizzazione alle intercettazioni respinte dai gip? Mancano i dati e forse non è un caso.
Luciano Violante ha lanciato l’allarme: si creerà la «casta dei pm», «1.200 magistrati, che, attraverso il proprio Csm, si autogovernano, privi di qualsiasi vincolo gerarchico», «arbitri indiscussi della libertà e della reputazione dei cittadini».
Vorrei chiedere a Violante se quanto emerso dal caso Palamara non sveli già l’esistenza di una casta dei pm. Chissà perché le nomine che hanno visto impegnate le correnti erano proprio quelle dei procuratori della Repubblica. A parte ciò, i pm non sono, non possono e non dovranno mai essere una casta, sono e saranno una magistratura indipendente, ma sottoposta alla legge e alla Costituzione. Tengo a precisare che nessun magistrato si autogoverna, semmai il Csm è un governo autonomo, e non è un gioco di parole. Dal dibattito è sparita la riforma Cartabia che ha istituito uno stretto collegamento fra il Parlamento e i singoli procuratori chiamati ad attuare le scelte politiche in tema di priorità nell’esercizio dell’azione penale, non proprio un aspetto secondario quando si paventa il controllo politico della magistratura.
Dall’altra parte Enrico Grosso, presidente del Comitato del No dell'Anm, sostiene: “Quello che viene fatto con questa riforma è un indebolimento complessivo della giurisdizione, non del pm ma del giudice. Come? Indebolendo il Csm”.
Questa riforma rafforza l’indipendenza delle magistrature giudicanti e requirenti. Sono ben tre i livelli di indipendenza. Il primo è l’indipendenza del pm dalla politica, sancita dal nuovo articolo 104 della Costituzione. Un salto di qualità rispetto all’attuale articolo 107 comma 4 della Costituzione, in quanto il pm sarà titolare in proprio delle garanzie di indipendenza dai poteri dello Stato. Il secondo è l’indipendenza del giudice dal pm, assicurata dalla terzietà, con evidenti ricadute sull’attuazione dell’altro principio di parità fra le parti. Il terzo è l’indipendenza delle due magistrature dalle lobby delle correnti interne. Una riforma per l’indipendenza della giustizia su tre livelli non può essere descritta in modo caricaturale, i cittadini devono essere correttamente informati per assumere una decisione consapevole che vada oltre gli schieramenti ideologici e politici.
Il presidente dell’Anm Parodi ha sottolineato che nel 2019 l’Ucpi ha licenziato un documento contro il sorteggio per il Csm. Ora invece viene accolto con molto favore. Esiste un problema di coerenza?
Personalmente sono sempre stato a favore del sorteggio, metodo che i professori universitari ben conoscono da oltre 15 anni. Parodi confonde la proposta inziale di Ucpi, ossia il disegno di legge di iniziativa popolare, che non prevedeva il sorteggio, con l’attuale riforma alla quale Ucpi ha convintamente aderito. Non vedo alcuna contraddizione nell’aderire a una proposta migliorativa che include qualcosa a cui inizialmente non si era pensato. Sono altri che erano favorevoli al sorteggio e che oggi sono i frontman del No: mi riferisco ovviamente a Gratteri.
Che idea si è fatto di questo inizio di campagna?
Una campagna di infimo livello, fatta di ambiguità e di mistificazioni. Spero che si possa prima o poi parlare dei contenuti, dei dati normativi e non delle presunte riserve mentali. Non è un buon metodo quello di affermare che il governo vuole asservire i pm o entrambe le magistrature alla volontà politica, come se non esistesse l’articolo 104 della Costituzione. I cittadini devono sapere che se questa fosse la volontà politica, subito dopo il referendum bisognerebbe abrogare la riforma, approvarne un’altra di segno opposto e tornare a un nuovo referendum. Vi sembra anche solo possibile?


