PHOTO
IMAGOECONOMICA
Stefano Celli, sostituto procuratore a Rimini, esponente di Magistratura democratica e vicesegretario dell’Anm. Il dibattito politico degli ultimi giorni si è acceso dopo le dichiarazioni della presidente Meloni, secondo cui esisterebbe un disegno della magistratura contro il governo. Come risponde a chi parla addirittura di complotto?
Lo escludo categoricamente. Solo pensarlo mi lascia perplesso. La magistratura, come sa chiunque abbia studiato diritto costituzionale, è un potere diffuso e non organizzato gerarchicamente. Non esistono “catene di comando” interne né agenzie di coordinamento. I magistrati si confrontano tra loro, con avvocati e professori, scambiano idee ai convegni o nei corridoi dei tribunali, ma ipotizzare che qualcuno impartisca ordini su come decidere è privo di senso. Se parliamo di complotto, dovremmo immaginare persino una regia con la Corte di giustizia europea: una ricostruzione che è fantapolitica pura.
Secondo lei queste uscite servono a capitalizzare consensi in vista del referendum sulla separazione delle carriere o sono espressione di un pregiudizio verso la magistratura?
Non entro nelle intenzioni personali. Possono essere entrambe le cose, e non sono ipotesi incompatibili. La presidente Meloni è una politica intelligente e capace: quando vede un’occasione per rafforzare il consenso, la coglie. Questo però non significa automaticamente che abbia ragione. Fino al referendum, se sarà in primavera, credo che sentiremo altre affermazioni simili.
In che modo pensate di poter respingere questi attacchi e rispondere a queste accuse, considerando che la fiducia dei cittadini nella magistratura è calata?
È vero che è diminuita rispetto al passato, ma resta più alta di quella verso il Parlamento. Non per questo ci riteniamo “migliori”. Abbiamo capito che dobbiamo comunicare in modo più chiaro, evitando il tecnicismo eccessivo, per farci capire anche da chi non è addetto ai lavori. Spiegheremo le nostre ragioni senza polemiche dirette, perché crediamo siano nell’interesse della collettività. Poi decideranno i cittadini.
C’è chi accusa i magistrati troppo esposti di fare militanza politica. Da questo punto di vista ritiene che ci sia effettivamente un problema da affrontare?
La libertà di espressione vale per tutti, anche per i magistrati. Non credo che la magistratura esondi dal suo ruolo: il contributo che portiamo è tecnico, basato su competenza ed esperienza. Possiamo intervenire su riforme o sentenze che fanno discutere, così come altri cittadini possono criticarci. Ascoltiamo sempre le critiche e, se sbagliamo, correggiamo. La polemica fa parte del dibattito pubblico.
Molti di voi lamentano che sulla riforma della giustizia non siete stati ascoltati.
Nei colloqui diretti con i gruppi parlamentari – tranne Azione, che non ha risposto – abbiamo trovato disponibilità al dialogo. Non sempre ci hanno dato ragione, ma in alcuni casi, come sul disegno di legge sul femminicidio, alcune criticità che avevamo segnalato sono state recepite. Noi parliamo anche a tutela dei cittadini.
Sulla separazione delle carriere, vi accusano però di difendere il vostro potere e i vostri interessi, non quelli dei cittadini.
È un argomento che non regge. Con la riforma il pubblico ministero avrebbe più potere, non meno. Oggi nel Csm ci sono 15 giudici e 5 pubblici ministeri: se c’è condizionamento, semmai è il contrario di quanto si sostiene. E guardiamo all’estero: in Portogallo il pm dipende dal Procuratore generale nominato dal Presidente della Repubblica su proposta del governo. Separato, sì, ma non autonomo. Che il pm avrà più potere non lo dico io: lo hanno detto il sottosegretario Andrea Delmastro e il senatore Marcello Pera, quindi non siamo solo noi a vedere questo rischio.
Però la premessa della riforma è che il vostro rimarrà un potere indipendente. Perché dovreste perdere all’improvviso questa capacità di controllo sulle vostre azioni?
Subito dopo la riforma ci saranno ancora magistrati del pubblico ministero e giudici con alle spalle un’unica carriera, che hanno condiviso esperienze e competenze. Anche chi non ha svolto entrambi i ruoli ha comunque partecipato a questa cultura comune. È evidente che in una settimana, in un mese o in un anno la magistratura non cambia natura. Ma il doppio concorso – cioè scegliere fin dall’inizio se diventare pm o giudice – finirà inevitabilmente per modificare, nel tempo, la cultura media del magistrato, orientandola in un senso o nell’altro. Quanto al “giudice terzo”, la domanda è: davvero oggi non lo è?
C’è anche il tema della “vicinanza fisica” tra giudici e pm: “abitano” lo stesso palazzo…
Separare i palazzi non risolve il problema, perché sottintende che i giudici decidano per compiacere i colleghi. Sarebbe come dire che un chirurgo opera un paziente sano solo per non far sfigurare il medico che ha fatto una diagnosi sbagliata. La terzietà si garantisce con regole processuali, non con muri di mattoni.
Veniamo al sorteggio dei componenti del Csm per combattere le correnti. Alcuni suoi colleghi sono d’accordo. Non pensa che questo possa fermare le degenerazioni correntizie?
Il Csm è un organo collegiale: le maggioranze si formano di volta in volta, ed è fisiologico trovare accordi. Il caso Palamara è stato una tragedia per l’immagine della magistratura, ma il problema del clientelismo sta soprattutto in chi chiede favori, non solo in chi li concede. Il sorteggio rischia di produrre membri con meno autorevolezza rispetto a chi ha un proprio bacino di riferimento, a cui si sente tenuto a spiegare in anticipo quali sono le linee guida del suo impegno, i valori che guideranno le sue scelte e le priorità.
Qualcuno vi ha definiti “eversivi”.
Non rispondo a questo tipo di affermazioni. I magistrati applicano la legge ai casi concreti; considerarlo “esondare” nega un principio fondamentale della democrazia. Prendiamo i migranti: siamo tutti contenti che siano stati stabiliti per legge i “Paesi sicuri”, ma se una persona sostiene che l’autorità ha applicato la norma in modo scorretto dobbiamo verificare. Questo potere è essenziale: senza di esso, si nega la democrazia.
Che clima si aspetta da qui al referendum?
Non mi aspetto un confronto pacifico, ma spero che la magistratura mantenga toni sobri e fermi. Contribuiremo alla campagna per il No, probabilmente anche con un comitato dedicato e iniziative pubbliche. Ci aiuteranno persone di vari ambiti e personaggi noti, ma ognuno farà il proprio mestiere.
Personaggi noti? Non è bastata la polemica sul bilancio dell’Anm e il cachet ad Antonio Albanese?
Una tempesta in un bicchiere d’acqua. Spendiamo più di quanto incassiamo ai congressi, ma abbiamo quasi due milioni di euro di riserve. Il caso dei 50mila euro ad Albanese è un falso storico: a Genova non ha preso compensi, l’unico cachet fu nel 2013 a Roma, comprensivo di compenso, “service”, affitto del cinema e tutte le spese connesse. Tutto qua.