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MATTEO LANCINI DOCENTE CATTOLICA
Quando si fa un provvedimento, bisogna sempre ascoltare le ragioni anche affettive di chi è davanti a noi e non pensare di avere la verità in mano in merito alle scelte riguardanti il bambino o l’adolescente del quale ci si vuole prendere cura.
Parte da questa considerazione generale il professor Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, nel commentare la vicenda dei fratellini Trevallion allontanati momentaneamente dalla casa situata nei boschi di Palmoli, in provincia di Chieti. Lancini insegna nel dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Milano. È anche un autore di successo. Tra i suoi libri Chiamami adulto (Raffaello Cortina editore).
Professor Lancini, la storia dei bambini di Palmoli pone all'attenzione una serie di temi, a partire da quello dell’educazione. Sottrarli dall’ambiente familiare può causare loro dei danni?
Io penso che in generale i bambini vadano allontanati dai genitori e dalla famiglia solo in situazioni gravi e per proteggerli. I servizi lavorano tendenzialmente bene e con attenzione e devono seguire le leggi. Fatta questa breve premessa, piuttosto che allontanare i bambini dalla famiglia, sarebbe utile dotarsi sempre di più, e questo ragionamento vale anche per gli adolescenti, di centri diurni, dove possano passare intere giornate, magari lontano dalle famiglie carenti, ma senza privarli della possibilità di dormire a casa con i propri genitori. I bambini o i ragazzi in difficoltà, devono essere sostenuti da figure educative, anche con supporto psicologico, e frequentare la scuola, ma devono rimanere legati alla famiglia. La storia dei bambini della cosiddetta “famiglia del bosco” offre l’occasione per ripensare le politiche della presa in carico dei minori in situazioni di difficoltà genitoriale. C’è poi un altro da aspetto da prendere in considerazione.
Quale?
Occorre sempre ascoltare la voce dei bambini e dei minori, senza trascurare un coinvolgimento e una mediazione con i genitori che rimangono delle figure decisive per il futuro dei minori stessi. Nella vicenda che stiamo esaminando l’allontanamento da casa ha un aspetto traumatico. Va aggiunto che, in base a quanto si sa, c’è stato un tentativo di mediazione con i genitori dei tre fratellini. Il coinvolgimento dei genitori e la mediazione con questi ultimi è sempre importante.
La vita in campagna, senza relazioni con i coetanei, è, secondo i giudici, una grave “deprivazione” che può avere ripercussioni gravi sui minori. Cosa ne pensa?
I bambini sono fatti per crescere ed allontanarsi dalla famiglia, per crescere in una società dove ci siano dei coetanei. Penso che sia altrettanto vero che per separarsi bisogna avere avuto dei buoni legami. Ritengo che sia comprensibile che si facciano valutazioni accurate. In futuro i tre fratellini devono trovare altre forme di socializzazione e di relazione. Su questo è indubbio che la relazione con gli amici e con i coetanei svolga una funzione evolutiva, soprattutto dalla preadolescenza in poi, decisiva.
Come si contemperano certi metodi educativi con le reali esigenze dei minori nel loro migliore interesse?
Questa è una domanda che ha risposte infinite e complicate. Il superiore interesse del minore è quello che dovrebbe guidare le azioni. Il problema è come mettere al riparo o come garantire il superiore interesse del minore davanti a degli atteggiamenti ideologici, che vediamo anche nella vicenda dei tre fratellini, dove si fa il tifo da stadio e ci si schiera. Secondo qualcuno, giustizia è fatta se allontani i bambini dai genitori, mentre secondo altri non è così. Stiamo parlando di una vicenda complessa. La famiglia ha dei diritti molto importanti, nello stesso tempo viviamo in un sistema dove, giustamente, alcune segnalazioni servono a tutelare i più deboli. Tutto è nato da un avvelenamento da funghi. La famiglia ha il diritto di educare i figli, dargli il proprio sistema di valori, però deve anche abituarli e adeguarli a un contesto sociale all’interno del quale vivranno. Verificare e in qualche modo mitigare anche ideologie genitoriali esagerate è un compito della società. Un altro aspetto della vicenda riguarda l’assenza da scuola. Io penso che sia anche giusto verificare cosa succede ai figli quando stanno all’interno della famiglia, soprattutto se non fanno altre esperienze. Per i processi decisionali da mettere in atto occorre poi valutare caso per caso.
Si rischia una guerra ideologica in merito all’educazione e all’istruzione dei bambini con conseguenze deleterie per questi ultimi?
Mi auguro che si vada verso una ricomposizione in cui tutti gli adulti siano davvero in grado di fare l’interesse superiore del minore, mettendo da parte ideologie e battaglie culturali. Questo caso è emblematico della radicalizzazione delle posizioni e delle battaglie ideologiche in corso. Come ho scritto anche in un recente articolo, purtroppo il superiore interesse del minore viene declamato ma poche volte gli adulti lo prendono in considerazione. Mi sembra che nell’attuale contesto sociale gran parte dei provvedimenti vengano presi con l’affermazione dell’ideologia adulta e con delle contraddizioni. Pensiamo per esempio al decreto Caivano, che viene interpretato in alcuni casi come una modalità in cui i ragazzi devono andare a scuola obbligatoriamente. Può accadere che vengano mandati a casa dei ragazzi, che si sono ritirati socialmente, i vigili o i carabinieri. Questi ragazzi hanno sviluppato una fobia scolare e non vanno a scuola perché tra i banchi stanno male. Li si obbliga invece a tornare a scuola, dicendo che si sostiene il loro superiore interesse.


