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PIERANTONIO ZANETTIN POLITICO
Palazzo Madama riaprirà i battenti soltanto tra un mese. Ma l’azzurro Pierantonio Zanettin dovrà arrivarci in anticipo, ai primi di settembre, per riaprire il dossier sul fine vita nelle commissioni riunite Giustizia e Affari sociali del Senato. «Ci siamo lasciati in un clima abbastanza sereno, di disponibilità e dialogo», dice ottimista il relatore di Forza Italia. Che condivide con il senatore meloniano Ignazio Zullo il dovere di “sintesi” in Parlamento. Ormai il grosso è fatto, dopo mesi di faticosa negoziazione e la fase di illustrazione degli oltre 140 emendamenti conclusa prima della pausa estiva. Ma sul testo della maggioranza ora pesa una nuova incognita: la sentenza della Consulta sull’eutanasia, che a fine luglio ha rimescolato le carte in tavola. «Non si può fare una legge in sfregio alla Corte – chiarisce subito Zanettin -, non avrebbe senso...».
E dunque, senatore, è tutto da rifare? La Consulta parla esplicitamente di un ruolo di garanzia del Servizio sanitario nazionale, che nel testo attuale resta invece escluso per ciò che riguarda la strumentazione, il farmaco e il personale.
Innanzi tutto la Corte esclude l’eutanasia, e per farlo attribuisce al Servizio sanitario, o comunque allo Stato, il compito di mettere a disposizione del malato che sia completamente paralizzato uno strumento idoneo all’autosomministrazione del farmaco.
E per la prima volta cita un “diritto” dei più fragili.
Io tenderei ad escludere che la Corte abbia affermato un diritto al suicidio assistito. Siamo sempre nel campo di una scriminante rispetto all’articolo 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio, ndr), che esclude la punibilità di chi agevola il proposito del paziente. Non possiamo spingerci oltre, ovvero all’omicidio del consenziente disciplinato dall’articolo 579.
Il dibattito sul fine vita si muove tra questi due binari, tra diritto e scelta. Dove pende il legislatore?
Abbiamo sempre chiarito che rimarremo nel tracciato della Corte, almeno come relatori: l’intenzione non è di allargare il perimetro delle sentenze, semmai di circoscriverlo. Poi, ovviamente, il Parlamento sarà sovrano.
Arriveranno emendamenti dei relatori?
L’obiettivo è di realizzare modifiche che migliorino il testo, che sia il più condiviso possibile.
In questi mesi non sono mancate frizioni all’interno della maggioranza, anche per ciò che riguarda il ruolo del Ssn. Sul quale FdI sembra irremovibile, mentre Forza Italia nutre i suoi dubbi. Troverete la quadra?
Il clima che si è instaurato in Commissione, soprattutto nell’ultima fase, fa ben sperare. Ci sono state aperture significative. Ma di certo non bastano le intenzioni e le dichiarazioni di principio, che bisognerà tradurre in atti normativi, su una materia su cui occorre la massima cautela. Io ci metterò tutto l’impegno possibile, come ho fatto in questi mesi, e spero che riusciremo a cucire un abito su misura: se vogliamo fare questa legge non possiamo avere numeri risicati.
Teme sorprese sul voto?
Non faccio pronostici, vivo giorno per giorno. Ma leggo segnali positivi e vedo che c’è la volontà di fare la legge.
Eppure c’è chi non la vorrebbe?
Il fatto che questa legge sia criticata tanto dai Pro vita quanto da Marco Cappato mi fa pensare che abbiamo trovato un buon punto di equilibrio. Non troveremo mai la norma perfetta. Ma io dico che è meglio una legge imperfetta che nessuna legge. Così come sarebbe meglio non fare affatto una legge che nasca già in palese contrasto con la Corte: sarebbe un conflitto istituzionale.
Il dibattito ingaggia anche il Vaticano, da ultimo con un botta e risposta a distanza tra Camillo Ruini e Vincenzo Paglia. La Chiesa è tra i negoziatori in campo?
Ho trovato dialogo, mai ingerenze. E lo stesso vale per il governo, che lascia lavorare il Parlamento. Mi sembra che anche mons. Paglia sia dell’idea che serve una legge per impedire il caos, con le Regioni che vanno a ruota libera.
A questo proposito, a novembre è prevista l’udienza della Consulta sulla legge della Regione Toscana impugnata dal governo.
Credo che la sentenza arriverà ad iter ancora in corso. Vedremo cosa deciderà la Corte, ma credo che dovrà stabilire l’incompetenza delle Regioni, dal momento che ci muoviamo nell’ambito del diritto penale.
La Consulta ha chiesto al Parlamento di legiferare sei anni fa con la sentenza 242 del 2019 sul caso Cappato-DjFabo. E da allora è intervenuta più volte per definire i limiti del fine vita. Il legislatore rischia di essere “scippato” del suo potere?
Se questo scippo c’è stato, è avvenuto sei anni fa. Ma io sono tra coloro che difendono il tanto vituperato Parlamento, che resta lo specchio del Paese: se in questi anni una legge non si è fatta, forse vuol dire che non c’era la spinta necessaria. La Corte può essere più avanti, e questo lo vediamo anche in altre materie, come quella relativa al doppio cognome, di cui pure discutiamo in commissione Giustizia. Insomma, sono un po’ di anni che la Corte ha allargato il suo perimetro di azione, ma se questo sia un bene o un male lo lascio dire ad altri.
Laura Santi, giornalista umbra morta tramite suicidio assistito, ha lasciato una “lettera-testamento” nella quale si rivolge direttamente al Parlamento. L’ha colpita?
Laura Santi ha chiesto una legge che consenta di scegliere in maniera più semplice, meno burocratica. E mi sento certamente chiamato in causa. Ci sono storie che straziano, da ogni punto di vista. Ma il nostro compito è ragionare in astratto, considerare tutti i casi, ed evitare al contempo la cultura dell’abbandono e dello scarto.