Per l'avvocato Giuseppe Rossodivita, segretario del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei, il quesito sulla separazione delle funzioni, promosso da Lega e Partito radicale, è fondamentale per aprire la strada alla vera separazione delle carriere. E replica alla critica dei magistrati per cui giudice e pm condividono la stessa cultura della giurisdizione: «è una ipocrisia, basta guardare quante volte viene applicato l'articolo 358 cpp: mai».

Perché “sì” al quesito sulla separazione delle funzioni? 

Se passasse il quesito non ci sarebbe più la possibilità di passare dalla funzione requirente a quella giudicante e viceversa. Quindi ne conseguirebbe una scelta iniziale della funzione che si vuole ricoprire senza poter più cambiare nell'intero corso della carriera. Così si realizzerebbe uno dei capisaldi di una giustizia penale ispirata ai principi liberali, ossia la terzietà del giudice rispetto alle parti. Tale principio è finalizzato a garantire che le tesi dell’accusa e le tesi della difesa siano valutate da un giudice equidistante da entrambe le parti. Senza un giudice terzo si dà vita ad una giustizia di tipo paternalistico.

L'argomento che usano all'interno della magistratura per opporsi alla separazione delle funzioni e poi delle carriere è che giudici e pm condividono la cultura della giurisdizione. 

Esattamente per questo motivo noi vogliamo la separazione delle funzioni. Se un giudice afferma che con una parte processuale - il pm in questo caso - condivide la cultura della giurisdizione, che però non condivide con l'altra parte processuale - la difesa - allora già vuol dire che quel giudice non è terzo e che il rapporto di forze in aula è squilibrato a svantaggio dell'imputato. Inoltre il tema della cultura della giurisdizione è una classica ipocrisia, la stessa dell'obbligatorietà dell'azione penale.

Perché?

Pensiamo all'articolo 358 del codice di procedura penale (Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell’articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini). Questo non viene mai applicato e lo dico avvicinandomi ai 25 anni di professione e dopo essermi confrontato con tanti colleghi. E poi chi garantisce che la cultura del giudice si trasferisce a quella del pm e non viceversa? Con tutto il potere politico e mediatico che hanno acquisito le Procure tendo a riscontrare sul campo, come ha scritto anche Giovanni Guzzetta sul vostro giornale, che siano i pm ad inquinare con germi “polizieschi” gli organi giudicanti.

Quindi avvocato non è d'accordo con quanto detto dal Consigliere Csm Nino di Matteo a Piazza Pulita per cui i migliori giudici sono quelli che hanno fatto i pm e viceversa?

Non è così alla prova dei fatti, in base a quello che succede quotidianamente nelle aule giudiziarie. Proprio lei sul Dubbio ha acceso un faro, con una iniziativa meritoria, sulle gravi criticità che quotidianamente si verificano nelle aule nel momento della gestione della cross examination da parte di moltissimi giudicanti che tendono a dare ai PM tutto lo spazio che vogliono, mentre intervengono a limitare l’esercizio del diritto di difesa, spesso, purtroppo, anche con arroganza. Questo scenario contraddice quanto detto dal dottor Di Matteo in tv.

Avvocato le faccio una obiezione, prendendo sempre spunto da Di Matteo che nella stessa trasmissione ha evidenziato come i passaggi tra pm e giudici si aggirano intorno all'1 per cento, dopo la riforma del 2006. Quindi il problema posto dal quesito referendario sarebbe sopravvalutato.

E allora se il problema non esiste, non capisco perché si preoccupino tanto del referendum. Anzi, venissero tutti a votare sì. Forse temono il quesito perché aprirebbe la strada alla separazione delle carriere.

A proposito di questo, lei prima citava Guzzetta. Sempre lui dal Dubbio critica i cosiddetti “benaltristi”, coloro che osteggiano il quesito perché “ci vorrebbe altro per risolvere il problema”.

È vero che questo quesito non riguarda la separazione delle carriere vera e propria. Siamo consapevoli del limite dello strumento, siamo consapevoli che occorre una riforma costituzionale per centrare l'obiettivo della separazione delle carriere. Nonostante questo, non si può negare che se passasse questo referendum rappresenterebbe un passo molto importante verso l’obiettivo principale che potrebbe essere raggiunto di conseguenza tra qualche anno. Verrebbe quotidianamente vissuta la necessità di andare a separare propriamente le due carriere. Quindi mi auguro che i benaltristi vengano a votare per il sì perché questo quesito è fondamentale per tracciare il percorso che ci condurrà a quello che da decenni.

Il quesito, molto più stringente rispetto alla proposta di riforma Cartabia, vivrebbe anche qualora l'emendamento governativo fosse approvato?

Dovrebbe essere così. Speriamo che sia così e che la Corte di Cassazione non ci riservi sorprese, qualora dovesse passare la riforma in Parlamento così come immaginata dalla ministra. chiediamo.