Secondo il dottor Eugenio Albamonte, Segretario di AreaDg, se passasse il quesito sulla separazione delle funzioni tra la magistratura giudicante e quella requirente «sarebbe un danno per i cittadini» in quanto «nel tempo assisteremmo ad una perdita di sensibilità da parte del pm in relazione al rispetto delle garanzie e dei diritti delle persone sottoposte a procedimento penale».

Perché “no” al quesito sulla separazione delle funzioni? 

Innanzitutto il no al quesito si estende al no sullo strumento del referendum utilizzato per affrontare un tema così particolare, soprattutto quando si tenta di trasformare il pronunciamento dei cittadini in un pro o contro la magistratura. Per quanto concerne il merito del quesito, noi abbiamo sempre ritenuto che l'unicità delle carriere fosse collegata indissolubilmente alla possibilità, seppur in un numero contingentato di volte, di consentire il passaggio dall'una all'altra funzione. L'osmosi tra le due, anche se modesta, consente di condividere poi anche all'interno di circuiti di riflessione e di formazione, che sempre più sono aperti all'avvocatura, una cultura comune e unitaria soprattutto sui temi riguardanti i diritti delle persone sottoposte a procedimento penale. Separare le due funzioni determinerebbe nel tempo una perdita di sensibilità da parte del pm in relazione al rispetto delle garanzie. E questo sarebbe un danno per i cittadini.

A proposito di osmosi, il professore Giovanni Guzzetta sul Dubbio ha scritto: "ma perché l’osmosi tra pm e giudici dovrebbe operare solo (beneficamente) a favore di una cultura garantista dei pm e non potrebbe, al contrario, funzionare per inquinare di germi “polizieschi” gli organi giudicanti?".

Dobbiamo analizzare quello che succede nel nostro Paese dove l'unicità della giurisdizione e la possibilità di passare da una funzione all'altra ha sempre rappresentato un condizionamento benefico sull'ufficio di Procura e non malefico su quello del giudice.

Le faccio una obiezione: se un giudice condivide con il pm la cultura della giurisdizione, che però non condivide con la difesa, allora vuol dire che quel giudice non è terzo. 

Sono il pm e l'avvocato che dovrebbero avere la cultura del giudice. Poi, come dicevo all'inizio, io non penso che ci siano dei compartimenti stagni: tutti noi ne diamo testimonianza ogni giorno non solo nelle aule di tribunale ma anche nelle occasioni di confronto e formazione comuni tra avvocati e magistrati, al di là delle posizioni da comunicato stampa. L'obiettivo è proprio quello di avvicinare in una unica cultura le tre posizioni del processo, ispirandosi al modello del giudice.

Qualche avvocato potrebbe dirle che però l'articolo 358 cpp (Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell’articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini)non viene mai applicato. 

Quando capita di trovarsi dinanzi ad un reato eclatante, quale ad esempio un omicidio, fare le investigazioni anche a favore dell'indagato significa innanzitutto non tralasciare le piste alternative, anche se una sembra più solida delle altre. Inoltre vuol dire non sottrarsi dal verificare gli elementi che anche la difesa porta. Mi permetta un'altra considerazione.

Prego.

Il pubblico ministero non è soltanto il soggetto che esercita l'azione penale. È anche colui che chiede l'archiviazione: e lo fa nella maggior parte dei casi non perché si sia preso un abbaglio, indagando un innocente, ma perché all'esito delle indagini si rende conto che gli elementi che ha raccolto non sarebbero sufficienti a motivare una sentenza di condanna. E questo può avvenire soltanto perché il pm condivide la cultura del giudice. La capacità del pm di applicare questo filtro è fondamentale: se non lo facesse, probabilmente si arriverebbe comunque ad una assoluzione, ma intanto l'imputato subirebbe l'onere economico, morale e sociale di un processo.

In conclusione, torno all'inizio di questa intervista. Contestando lei il metodo referendario su questo tema delicato, farà campagna per l'astensione o per il no? 

Non credo sia corretto, anche agli occhi dei cittadini, fare una campagna per l'astensione. Chi, nella storia di questo Paese ha pensato di percorrere la via dell'astensionismo - ricordo il famoso "andate al mare" della Prima Repubblica non ha avuto mai grande successo. Quello che secondo me è importante è dare un contributo - e la magistratura lo deve fare - in tutti i luoghi e i momenti richiesti per spiegare la sua posizione in modo che i cittadini siano in grado, se decideranno di andare a votare, di esprimersi con consapevolezza. Ciò deve essere fatto per rispetto dello strumento referendario. “