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L'ex vicepresidente del Csm Michele Vietti
Michele Vietti, già vicepresidente del Csm e professore di Diritto dell’Economia alla Lumsa, sulla separazione delle carriere spiega che «non è possibile che controllore e controllato condividano lo stesso percorso di carriera, lo stesso sistema di reclutamento, lo stesso organo disciplinare e appartengano alla stessa corporazione», e aggiunge che «l’Anm ritiene che questa riforma sia un tentativo di erodere l’autonomia giudiziaria, ma così non è».
Presidente Vietti, lei è stato vicepresidente del Csm e oggi proprio il Csm è al centro di una discussa e importante riforma della giustizia ad opera del governo Meloni: che ne pensa?
Ritengo che la riforma della giustizia sia auspicabile e che presenti, nel suo complesso, notevoli potenzialità, a condizione che venga calibrata con rigore tecnico e istituzionale. Una riforma è necessaria per rispondere a problemi concreti di efficienza e per consolidare le garanzie nel procedimento penale.
Punto cardine della riforma è la separazione delle carriere tra giudici e pm, una “battaglia” che il centrodestra porta avanti da anni ma che il centrosinistra osteggia con forza, nonostante alcuni, soprattutto nel Pd, in passato si fossero dichiarati a favore: qual è la sua opinione in merito?
Devo dire che a lungo ho ritenuto la questione marginale, focalizzandomi sul modesto numero di cambi di funzioni tra requirenti e giudicanti che sembravano non giustificare una riforma, tanto meno costituzionale. Ma ho cambiato idea: una cosa sono i mutamenti di funzione, altra, ben diversa, è la questione del ruolo radicalmente differente che giudici e pubblici ministeri oggi rivestono. Nel nostro processo penale, il pm si presenta al dibattimento in una posizione di oggettiva supremazia rispetto alla difesa, basti pensare che riveste il ruolo di capo della polizia giudiziaria e dispone di strumenti investigativi decisivi, tra cui le intercettazioni, fulcro della ricerca della prova. Non possiamo certo negare che ciò stride con l’idea di un processo equo, imperniato sulla contrapposizione tra parti in condizione di parità e sulla formazione della prova nel contraddittorio, come sancisce la nostra Costituzione all’articolo 111.
Si spieghi meglio.
In uno Stato che voglia davvero definirsi liberale, la giurisdizione ha un ruolo cruciale: deve essere un presidio concreto a tutela delle libertà individuali, anche e soprattutto di fronte all’autorità pubblica. Il giudice, infatti, ha il compito di valutare con imparzialità la legittimità e la fondatezza dell’azione penale: per farlo, non può appartenere alla stessa struttura del pm che quell’azione promuove. Pensiamoci: non è possibile che controllore e controllato condividano lo stesso percorso di carriera, lo stesso sistema di reclutamento, lo stesso organo disciplinare e appartengano alla stessa corporazione.
Si discute anche di altri aspetti del testo, dal sorteggio dei membri del Csm al ruolo che avrà o meno il Parlamento nella sua composizione: quali sono gli aspetti che la convincono della riforma e quelli invece da migliorare?
L’ipotesi di introdurre il sorteggio per la selezione dei componenti del Csm, merita, a mio avviso, una critica netta. L’esperienza insegna che il ruolo di componente del Consiglio Superiore è tra i più impegnativi delle istituzioni repubblicane, richiedendo specifiche competenze tecniche, culturali e umane. D’altronde, il Consiglio è “Superiore” non per convenzione lessicale, ma perché l’ordinamento gli attribuisce un compito di primaria rilevanza, ovvero il governo autonomo di uno dei tre poteri dello Stato. I suoi componenti sono chiamati ad assumere decisioni che incidono direttamente sull’equilibrio dell’intero sistema giudiziario: affidarsi al caso contraddice le esigenze di qualità e responsabilità necessarie. Non è chiaro se il sorteggio derivi da una reazione contro il correntismo, ma io non aderisco alla retorica che demonizza l’associazionismo giudiziario. Le correnti, pur con i loro limiti, sono fenomeni fisiologici di aggregazione in qualunque realtà organizzata. Pensare di eliminarle per legge è, semplicemente, un’illusione.
Schierata in prima linea contro questo testo è l’Anm, che parla di uno stravolgimento delle prerogative assegnata dalla Carta alla magistratura e che più volte ha dichiarato guerra a questo governo, con tanto di scioperi e comunicati al vetriolo: quale dovrebbe essere il rapporto tra Anm e politica e dunque in ultimo tra poteri e istituzioni?
L’Anm ha reagito aspramente perché ritiene che questa riforma sia un tentativo di erodere l’autonomia giudiziaria, ma così non è. Comunque non mi scandalizza che, a fronte di una riforma costituzionale, si accendano polemiche e critiche, soprattutto da parte delle categorie interessate. L’importante è che nel confronto tra visioni diverse si arrivi a una sintesi equilibrata. Il rapporto tra poteri e istituzioni dovrebbe nutrirsi di dialogo e pluralismo, ma la politica, legittimata direttamente dal voto popolare, rimane il centro decisionale.
Altro tema di discussione è la questione carceri, con il ministro Nordio che ha più volte promesso interventi per contrastare il sovraffollamento il quale tuttavia resta una piaga importante del nostro sistema penitenziario, causa spesso di suicidi e atti di autolesionismo: crede sia necessaria una riforma strutturale e, come forma emergenziale, anche un qualche tipo di indulto?
Il sovraffollamento carcerario in Italia è innanzitutto una questione umanitaria, che richiede interventi strutturali urgenti. Le statistiche recenti parlano chiaro: si contano 62.445 detenuti a fronte di 51.280 posti regolamentari, con un sovraffollamento del 133%, e in ben 58 carceri su 189 il tasso supera il 150% . Queste condizioni hanno generato rivolte, rischi sanitari e violazioni dei diritti fondamentali e fanno registrare un aumento dei suicidi. È auspicabile un’ampia riforma organica del sistema penitenziario, che includa un significativo potenziamento delle misure alternative alla detenzione - come l’affidamento in prova al servizio sociale e la detenzione domiciliare - e una profonda ristrutturazione dell’ordinamento penitenziario per riallineare strutture, finalità e diritti in carcere ai dettami costituzionali di umanità e rieducazione. Però bisogna intanto evitare di moltiplicare i reati e inasprire le pene perché si rischia di provocare un cortocircuito.
È recente la notizia di un programma che il procuratore di Napoli Nicola Gratteri terrà su La7 in autunno intitolato “Lezioni di mafia”. Da ex vicepresidente del Csm, come giudica tale iniziativa?
L’iniziativa, se ben strutturata, può diventare un’occasione educativa e formativa: l’importante è non fare i processi in televisione e offrire strumenti oggettivi di conoscenza e riflessione sulla mafia, tenendo ben distinto il ruolo del magistrato (che si occupa delle singole responsabilità) da quello del giornalista.