PHOTO
Si sgretolano sotto i cingoli dei carrarmati israeliani le macerie della periferia est di Gaza City. A nulla sono serviti i moniti del capo di stato maggiore, Eyal Zamir, dei vertici dei servizi di sicurezza israeliani, delle organizzazioni internazionali, tra cui la Croce Rossa, e di diversi governi, il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha dato il via libera al piano per la conquista di Gaza City.
Questo nonostante Hamas abbia accettato la proposta di tregua formulata dai mediatori egiziani e qatarioti. Nelle stesse ore in cui i militari israeliani hanno assaltato Gaza City il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha annunciato l’avvio del piano d’insediamento E1 in Cisgiordania che, dopo 20 anni di discussione, è stato approvato mercoledì da Tel Aviv. Ne parliamo con Caterina Roggero, Ispi Senior Associate Research Fellow presso l’Osservatorio sul Medio Oriente e Nord Africa.
È iniziata l’occupazione di Gaza City nonostante Hamas abbia accolto la proposta di tregua, perché non accettare la tregua e condannare così gli ostaggi rimanenti?
«Ci sono già stati altri piani di occupazione della Striscia, fin dall’indomani del 7 ottobre. Sembrava impossibile entrare a Gaza e invece si è cominciato lì, è già cominciata allora l’occupazione di Gaza, con l’idea di stanare Hamas. Si sapeva che la guerra sarebbe stata lunghissima data l’impresa titanica prevista dall’operazione. È stato un continuo di piani di evacuazione per la popolazione che si è dovuta spostare almeno dieci volte da una località all’altra. Quella odierna è più in grande stile e a molti è sembrata una minaccia per costringere Hamas alla resa totale. Dal momento in cui la fame a Gaza è stata conclamata e riconosciuta anche dalla comunità internazionale Hamas si è rifiutata di trattare, ponendo come condizione l’arrivo di aiuti e la risoluzione della crisi umanitaria per poter riprendere le trattative.
Qui il governo Netanyahu ha rincarato la dose, anche grazie all’avallo degli Stati Uniti all’operazione e a qualsiasi attività che assicuri la sicurezza di Israele. Netanyahu ha deciso di promuovere l’occupazione sperando di portare Hamas al tavolo delle trattative o alla resa totale, anche se probabilmente no ha mai davvero creduto a quest’ultima possibilità. Il governo israeliano agisce sentendosi intoccabile e potendo fare affidamento sugli Stati Uniti e non riconoscendo più come prioritaria la liberazione degli ostaggi, perché Hamas, messa alle strette, piuttosto di affrontare la debacle di dover procedere alla liberazione ostaggi, li ucciderebbe tutti. Inoltre nel dedalo di tunnel che corrono sotto la Striscia, Hamas sta resistendo e le Idf stanno facendo una figuraccia, mostrandosi incapaci di eliminarlo. Ieri 15 miliziani hanno attaccato una guarnigione israeliana a Khan Younis, con il probabile obiettivo di sequestrare un soldato. A questo punto la fine di Hamas è ormai impensabile, purtroppo come sappiamo che ci sono tantissimi ragazzi e ragazzini pronti ad unirsi alle fila del Movimento, si sono trovati senza prospettive di vita se non il martirio.
L’unico obbiettivo che potrebbe raggiungere Israele è l’esilio dei miliziani, come avvenuto nell’ 84 a Beirut, quando i 16mila miliziani dell’Olp lasciarono la capitale libanese recandosi in Tunisia. C’è sempre stato un freno rispetto alle critiche che arrivavano dalla comunità internazionale ma ora sembra essere venuto meno. A Netanyahu è stato concesso tutto dal principale alleato ( gli Stati Uniti), l’unico di cui si interessa realmente, date le critiche che cominciano ad arrivare da diversi Paesi europei. La situazione probabilmente cambierebbe nel momento in cui dovessero arrivare azioni concrete e sanzioni da parte dell’Ue».
È stato approvato il piano d’insediamento E1 che taglierà in due la Cisgiordania, rappresenta la pietra tombale sulla soluzione due stati? È un caso che sia stato approvato dopo il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di diversi paesi?
«Non è un caso dato l’appoggio internazionale di alcuni Paesi europei e non solo ma dall’altra parte l’assenza totale di critiche da parte del governo statunitense ha permesso all’esecutivo israeliano di fare il salto. Questa colonia collegherebbe la principale colonia israeliana Ma’Ale Adumin, città che conta ormai 40mila persone, a Gerusalemme est. Gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono molto numerosi, e ci vivono circa 700mila persone, di queste almeno 350mila abitano a Gerusalemme est, la cui annessione, come quella delle alture del Golan, non è mai stata riconosciuta dalla comunità e dal diritto internazionale. Solo Trump ha dato segnali di apertura a Netanyahu in tal senso, spostando l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme nel corso del suo primo mandato. Effettivamente molti dei coloni che abitano lì non sono tutti messianici oltranzisti o ultra ortodossi ma persone comuni che vivono fondamentalmente in pace, non fanno una scelta politica, questa viene fatta dal governo che li incentiva a spostarsi negli insediamenti. Se dovesse essere messa in atto la soluzione de due Stati bisognerebbe trovare un posto per queste persone. Questo governo piano piano approva i nuovi insediamenti e i due ministri più estremisti, Ben Gvir e Smotrich non si nascondono più dietro a giri di parole, dicono quello che pensano nel dire che non vogliono la costituzione dello Stato palestinese per questioni di sicurezza».
Il leader dell’opposizione israeliana ha offerto i voti del suo partito per coprire quelli dei partiti di estrema destra, facenti parte del governo e contrari alla tregua, perché non accettare la proposta dei mediatori e fermare il conflitto?
«No non credo che accetteranno al tregua, tanto che invece di dare la risposta ai mediatori hanno dato l’ordine di entrare a Gaza, sono tutte mosse che vanno in direzione opposta rispetto alla tregua. Netanyahu ha anche detto che non prenderà in esame la liberazione a tranche degli ostaggi. È vero che si rimpallano la responsabilità di non volere cessate il fuoco ma Netanyahu non ha mai realmente voluto il cessate il fuoco, nemmeno quello di gennaio imposto da Trump e poi rotto unilateralmente da Israele a marzo. In quel caso era già in programma la liberazione a tranche degli ostaggi ma è evidente che il governo israeliano non volesse procedere alle successive fasi dell’accordo di tregua. I ministri sionisti del governo Netanyahu ritengono che la Striscia di Gaza debba essere completamente occupata e hanno trovato una preziosa sponda nell’idea esplosiva della riviera di Gaza avanzata da Trump. Lo stesso presidente degli Stati Uniti riconosce le necessità di sicurezza avanzate dagli israeliani, che ad ogni costo non vogliono la costituzione dello Stato palestinese».
Netanyahu è ostaggio delle frange più radicali del suo governo?
«Sembrerebbe esserne ostaggio, a ogni loro desiderio corrisponde una presa d’atto da parte di Netanyahu, al tempo stesso è vero anche che Netanyahu ha ormai deciso di optare per la linea dura. Questo probabilmente perché dietro le quinte gli è stato assicurato il sostegno incondizionato degli Stati Uniti che, nonostante qualche frase buttata qua e là, avalla completamente la politica di eliminazione dello Stato palestinese. Netanyahu si sente nella possibilità di fare quello che ha sempre voluto.
Sia lui che l’estrema destra israeliana non hanno mai voluto la costituzione di uno Stato palestinese, considerandolo una minaccia per Israele. Lo stesso ambasciatore Usa in Israele, Mike Huckabee, è un’evangelista che nega la possibilità dell’autogoverno di un futuro Stato palestinese. Il governo israeliano ha mostrato il suo vero intento, non troppo sbandierato negli ultimi anni, ossia la necessità di avere un unico grande Israele che vada dal Giordano al mare».