“Le opinioni dissenzienti in Corte costituzionale” (Zanichelli editore) è il nuovo libro di Nicolò Zanon, ordinario di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano, già componente laico del Csm ed ex giudice della Consulta. Il cuore dell’opera è in una ben precisa visione: l’assenza dell’opinione dissenziente all’interno della Corte costituzionale è retaggio di una tradizione da superare.

Professore, il suo libro sta facendo molto discutere. L’attuale presidente della Consulta Augusto Barbera, a nostra domanda, ha risposto: “Quello che ha fatto il mio amico Zanon è una dissenting opinion a posteriori non commendevole, frutto di una grave leggerezza”.

Il mio amico Augusto Barbera ha presentato una relazione sull’attività della Corte costituzionale densa di spunti interessanti e che per larghi tratti condivido. Sulla opinione dissenziente, invece, la relazione mostra un atteggiamento eccessivamente sbrigativo. Arriva perfino a svalutare le esperienze straniere (o della stessa Corte europea dei diritti dell’uomo) che conoscono l’istituto da decenni, o da secoli, come la Corte suprema Usa. La mia è una proposta culturale, contenuta in un libro destinato agli studenti, ai quali vorrei mostrare che una stessa questione, se si muove da diverse interpretazioni delle norme di legge o della Costituzione, può essere decisa in modi diversi. La Corte poteva tranquillamente ignorare questa mia proposta, o al contrario argomentarne l’infondatezza, restando proprio sul piano culturale. Ridurla a leggerezza, mi è parso semplicemente superficiale.

La collega di Repubblica Liana Milella l’ha definita il “severo sacerdote del segreto delle camere di consiglio”. E ora spiffera tutto?

Non intendo replicare alcunché alla dottoressa Milella, vorrei stare su un piano diverso dal suo. Mi limito a dire che, nel libro, io non “spiffero” proprio nulla: parlo di idee, argomenti e di opinioni esclusivamente mie.

Nel libro “Storie di diritti e democrazia” scritto dall’ex presidente Giuliano Amato e dall’ex responsabile della comunicazione della Consulta Donatella Stasio, leggiamo: “Qualcuno ha obiettato, in questi anni, che la trasparenza si realizza solo introducendo l’opinione dissenziente, rendendola appunto trasparente. Non è così, la trasparenza deve riguardare anzitutto la decisione presa dalla maggioranza”. Nell’ultima presentazione del libro a Firenze avvenuta qualche giorno fa gli autori hanno affermato anche che i tempi non sono abbastanza maturi affinché questa democrazia accetti l’opinione dissenziente. Perché la dissenting opinion fa paura?

Ma la decisione presa dalla maggioranza si legittima solo attraverso la qualità della sua motivazione. Nel libro osservo che il “pungolo” della opinione di minoranza potrebbe migliorare quella stessa qualità. Dopo di che, viste alcune reazioni “ufficiali”, temo ci sia del vero in quanto osservano Amato e Stasio. Al tempo stesso, credo che, fuori dai palazzi, l’opinione pubblica interessata sia sufficientemente matura per accettare l’idea che in Corte ci si divide, e, soprattutto, per poter serenamente conoscere gli argomenti rimasti minoritari.

C’è chi sostiene che prima le sue frasi alla presentazione del libro di Barbano sul caso Ferri e poi questa sua opera siano una manovra per delegittimare la Corte proprio in un momento storico in cui il governo mostrerebbe una certa insofferenza verso gli organi di garanzia. Come replica?

Questo lo trovo davvero eccessivo. Io non sono che un ex-giudice, tornato al suo mestiere di professore universitario. La Corte costituzionale è una fondamentale istituzione del nostro ordinamento, cui ho dedicato nove intensi anni di lavoro. Insisto nel ritenere che, se le opinioni minoritarie fossero conosciute e non nascoste, prestigio e legittimazione della Corte non sarebbero affatto diminuiti, ma aumenterebbero. Inoltre: forse che qualche modesto ragionamento “postumo” può seriamente mettere in discussione l’indipendenza dei giudici costituzionali?

Si aspettava il comunicato diffuso dalla Corte lo scorso 19 dicembre in merito a quelle sue dichiarazioni?

La prossima domanda?

Perché ha scritto che quella sul referendum sull’omicidio del consenziente è stata “la più lacerante fra le opinioni dissenzienti che avrei voluto scrivere allora”?

Vede, se per avventura si fosse votato su quel referendum, personalmente avrei scelto il No, perché credo che, nel merito, gli argomenti che la Corte ha usato per dichiararlo inammissibile fossero da condividere. Ma, appunto, solo nel merito. Il fatto è che il giudizio di ammissibilità del referendum non è un giudizio sul merito costituzionale della legge da abrogare. Inoltre, in presenza della richiesta di attivare un fondamentale istituto di democrazia diretta, le convinzioni personali del giudice devono proprio farsi da parte: se la Costituzione sul punto non è chiara, quindici illuminati signori non devono impedire al popolo di esprimersi. Era insomma una questione lacerante: scegliere tra le mie convinzioni personali contro l’eutanasia, da una parte, e rispettare il rilievo costituzionale del voto popolare su una tipica “questione di società”, dall’altra: alla fine, non potevo che scegliere questa seconda via…

Caso Regeni: davvero la Corte non è stata in grado di “resistere alla tentazione di assecondare” i media e l’opinione pubblica, svilendo il diritto di difesa a favore di un processo simbolico?

Mi sarebbe piaciuta una Corte “con le spalle larghe”, non ignara dell’atrocità della vicenda concreta, ma nella condizione di spiegare che se uno Stato estero infrange impunemente regole elementari della collaborazione giudiziaria internazionale e protegge a tutti i costi i suoi funzionari sospettati di atti criminali gravissimi, ebbene questo non richiede affatto che anche l’ordinamento italiano si metta a quello stesso livello, abdicando – paradossalmente a mezzo di una pronuncia del custode della Costituzione – a una garanzia essenziale dello Stato costituzionale di diritto, come il processo in presenza dell’imputato. Nemmeno mi convince l’idea che il processo, anche senza imputati, serva almeno a conoscere e far conoscere quel che è accaduto, cioè la verità (purché si intenda quella “processuale”…), e quindi ad attenuare il dolore dei parenti della vittima: a ben riflettere, anche questo è un piegare il processo penale, per come è stato forgiato dalla nostra tradizione giuridica, a scopi che non gli appartengono proprio.

Pensare solo di aprire un dibattito serio sulla dissenting opinion sembra impossibile. Potremmo iniziare col mettere al termine della sentenza l’opinione di minoranza?

In effetti sembra difficile. Le tre reazioni al libro sono state finora: grave leggerezza, delegittimazione della Corte; infine, addirittura, illecito penale. Ma io non dispero, confido appunto nell’intelligenza dei giorni futuri, come dico nel libro. Quanto alle modalità con cui potrebbero essere resi pubblici gli argomenti minoritari, gli stessi giudici costituzionali, dibattendo questo problema tanti anni fa, fecero alcuni esperimenti. Ad esempio, provarono in un caso a inserire nel corpo dell’unica motivazione le tesi dissenzienti non accolte dalla maggioranza: alla prova di lettura, pare ne fosse tuttavia risultata una motivazione contorta, che non rendeva ragione né alla maggioranza né alla minoranza. Allegare un breve dissent alla fine della sentenza potrebbe essere una soluzione diversa, meno complicata. Ma si tratta di comprendere se la Corte possa farlo da sola, o se non sia necessario un intervento del legislatore, cioè della politica.

La Consulta è un organo giurisdizionale neutro o qualche volta può prevalere l'aspetto politico?

Vecchia e dibattuta questione. La Corte è sicuramente un organo giurisdizionale sui generis con un’anima “politica”, tanto quanto sono “politici” (in senso alto) i princìpi e le regole costituzionali che essa deve tutelare. Per questo, decidere sulla conformità costituzionale di una legge non è mai una semplice operazione matematica. Sarebbe di conseguenza un progresso riconoscere in trasparenza che su quei principi e su quelle regole ci si può dividere, a seconda delle diverse sensibilità culturali e delle differenti filosofie interpretative. Inoltre, far conoscere i diversi argomenti a tutta l’opinione pubblica interessata sarebbe un modo per aumentare il pluralismo e la sensibilità sui temi costituzionali: una forma di integrazione attraverso il dibattito tra idee diverse. Sono davvero solo un ingenuo sognatore?