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ARTURO SCOTTO, POLITICO
Onorevole Scotto, perché l’importanza del sì ai referendum sul lavoro?
Intanto perché un grande Paese come l’Italia è fondato sul diritto al lavoro, e non sulla libertà di licenziamento. Il principio secondo cui i diritti non sono monetizzabili appartiene al meglio della civiltà giuridica di questo paese, quella che nel 1970 grazie alla straordinaria mobilitazione del movimento operaio e democratico scrisse lo statuto dei lavoratori. Oggi, penso che ripristinare il principio secondo cui non puoi essere licenziato senza giusta causa e se lo sei hai diritto al reintegro e non a un semplice indennizzo proietti l’Italia nel futuro, non nel passato.
Perché c'è bisogno di questi referendum?
Il referendum è un segnale chiaro dopo trent’anni di precarizzazione del lavoro, svalutazione e riduzione del lavoro a merce e dove tutti gli interventi messi in campo hanno ridotto peso e spazio del peso contrattuale del lavoro. La moltiplicazione di contratti, dai voucher al lavoro a chiamata ha condannato una generazione intera soprattutto di giovani e donne a un orizzonte di precarietà permanente. Questo referendum interrompe questa spirale e restituisce al lavoro potere di contrattazione. D’altra parte, l’articolo 18 che cos’è se non una questione di potere, che permette cioè di tenere in equilibrio i rapporti di forza tra potere e impresa?
Il primo quesito tratta del reintegro dopo un licenziamento illegittimo: perché è importante dire sì?
Non c’è nessun manuale di economia politica che dimostra che un’assoluta libertà di licenziamento aiuti le economie a crescere e le imprese a essere più competitivi o incentivi l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. È solamente un indebolimento della qualità del lavoro che viene trasformato in mera merce. Il tema è: quale capitalismo vogliamo? Uno che compete sulla scala globale con bassi salari, scarsa tutele e nessuna innovazione o immaginiamo invece un modello di produzione fondato sulla qualità?
Il secondo quesito invece parla degli indennizzi per chi viene licenziato illegittimamente.
Senza articolo 18 già ci troviamo di fronte a una discriminazione forte nelle imprese sopra i 15 dipendenti. Se io sono assunto pre Jobs act e il mio collega è stato assunto il giorno dopo la sua approvazione, io ho la tutela dell’articolo 18, il mio collega no. Nelle aziende sotto i 15 dipendenti l’articolo 18 già non era in vigore. Con il Jobs act viene messo un tetto sull’indennizzo di massimo sei mesi e con l’eliminazione del tetto si restituisce al giudice la possibilità di procedere con la reintegra o di valutare la qualità dell’indennizzo. Per questo è importante dire sì.
Il terzo quesito è incentrato sulle causali dei contratti: ce lo spiega?
Il terzo quesito parla a tre milioni di lavoratori che vivono di contratti a termine e a una larghissima fascia di lavoratori che hanno contratti giornalieri o settimanali. Soltanto a Roma nel 2024 il 50% dei nuovi contratti sono stati giornalieri. Il ripristino delle causali obbliga il datore di lavoro a giustificare perché rinnova quel contratto nei primi dodici mesi. Se quelle giustificazioni vengono ritenute non adeguate si deve trasformare il contratto in uno a tempo indeterminato. Mi pare semplice buonsenso.
L’ultimo quesito sul lavoro è quello che riguarda la responsabilità dei committenti nei subappalti: perché dite sì?
La media delle morti sul lavoro è tre al giorno: questo governo ha esordito con il primo Cdm introducendo un decreto per vietare i rave party, tanto per far capire le gerarchie. Poi hanno proseguito aumentando i reati e le aggravanti, ma l’unico decreto sicurezza che non hanno fatto è quello per chi la mattina va a lavorare e non sa se torna vivo a casa. Hanno liberalizzato i subappalti a cascata nel codice dei lavori pubblici, non hanno eliminato la regola del massimo ribasso e non fanno assunzioni adeguate sugli ispettori del lavoro. Siamo di fronte a un ammutinamento da parte del ministero e del governo di fronte alla grande ferita della Repubblica che si chiama morti sul lavoro. Per questo serve un grande sì.
Vuole fare un appello finale per il sì?
Stiamo avvertendo un clima crescente di entusiasmo e partecipazione. La democrazia non è un bene acquisito per sempre, va coltivata tutti i giorni e rafforzata attraverso il voto dei cittadini. La destra sta facendo una campagna forsennata per l’astensione e bisogna mettere un argine all’irresponsabilità della destra. Per questo invito tutti a votare e votare cinque sì.