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La lettera di una quarantina di ex diplomatici, indirizzata alla premier Giorgia Meloni, affinché riconosca lo Stato della Palestina, viene considerata da Domenico Vecchioni, già ambasciatore d’Italia a Cuba, «insolita nella forma» e «inopportuna nella sostanza». «Il riconoscimento di uno Stato che non possiede tutti gli elementi essenziali, come territorio, popolazione e sovranità – dice Vecchioni al Dubbio -, rischia di irrigidire ulteriormente la posizione d’Israele».
L’ex ambasciatore a Cuba vanta una lunghissima carriera nella diplomazia italiana. Ha prestato servizio, solo per citare alcune sedi, a Le Havre, a Buenos Aires, a Bruxelles (presso la Nato), a Strasburgo, al Consiglio d'Europa. Alla Farnesina è stato anche capo segreteria della Direzione generale delle Relazioni culturali, capo segreteria della Direzione generale del personale e capo Ufficio “Ricerca, studi e programmazione”. Grande appassionato di storia, è un autore prolifico. Decine i libri scritti, migliaia gli articoli pubblicati. Il suo ultimo lavoro editoriale si intitola “Eventi straordinari della Seconda guerra mondiale (Edizioni Leg).
Ambasciatore Vecchioni, una quarantina di suoi ex colleghi ha firmato un appello rivolto alla presidente del Consiglio affinché riconosca lo Stato della Palestina. Vengono chiesti «gesti politico-diplomatici concreti ed efficaci», tra cui la sospensione di «ogni rapporto e cooperazione, di qualunque natura, nel settore militare e della difesa con Israele». Cosa pensa di questa iniziativa?
Si tratta, a mio avviso, di una iniziativa insolita nella forma, inopportuna nella sostanza. È singolare, infatti, che ex servitori dello Stato facciano pubblica pressione sul governo perché adotti una determinata e ben precisa linea politica. Quanto alla sostanza, riconoscere lo Stato, inesistente, della Palestina, in questo preciso momento, comporta diversi inconvenienti. Intanto si finisce col legittimare indirettamente Hamas, che esulta a ogni annuncio di “riconoscimento” e, in qualche modo, col delegittimare Israele. Il che non fa che allontanare qualsiasi prospettiva di pace o soluzione del conflitto. Finché, del resto, sarà attivo Hamas, che si prefigge la distruzione d’Israele, come potrà esserci soluzione del conflitto?
Ce lo dica lei…
Il riconoscimento di uno Stato che non possiede tutti gli elementi essenziali, come territorio, popolazione e sovranità, rischia di irrigidire ulteriormente la posizione d’Israele, dove cresce la sindrome dell’accerchiamento, nata fin dal 1948 quando i palestinesi, invece della collaborazione con Israele, scelsero la guerra, perseguendo la loro visione distruttrice nel 1956, nel 1967, nel 1973 e, più recentemente, il 7 ottobre 2023. Conseguenze di tutti questi riconoscimenti? Proprio nei giorni scorsi il parlamento israeliano ha approvato l’annessione della Cisgiordania. La formula “due popoli, due Stati”, si allontana sempre di più.
Dunque, il riconoscimento dello Stato di Palestina non avrebbe nessun senso nell’attuale situazione?
Il riconoscimento dello Stato di Palestina non aiuta ed è forse anche controproducente per la causa della pace. Vogliamo essere allora coerenti e scrollarci di dosso un po’ d’ipocrisia? Riconosciamo pure lo Stato di Palestina, ma allo stesso tempo lo Stato di Palestina, qualunque cosa esso sia, qualche forma esso abbia, riconosca simultaneamente lo Stato d’Israele. Questa, in sintesi, è la posizione del governo italiano. Questa mi pare la posizione giusta.
Si rischia ancora una volta la creazione di schieramenti opposti che si fronteggiano sulla catastrofe umanitaria di Gaza con conseguenti strumentalizzazioni da una parte e dall’altra?
È possibile, anzi è probabile. Va tuttavia tenuto conto di una circostanza. Le informazioni provenienti da Gaza sono gestite unilateralmente da Hamas, che le usa e strumentalizza pro domo sua. In maniera evidente. Non sappiamo cosa succeda esattamente sul terreno. Eccessi ed errori israeliani sono stati certamente commessi e, quando accertati, vanno condannati. Ma la narrazione del conflitto sembra avere un’unica fonte, un’unica interpretazione, che i media occidentali peraltro tendono a prendere per oro colato: quella del ministero della Salute di Hamas.
Quando la Corte penale internazionale ha spiccato il mandato di arresto per Benjamin Netanyahu, diversi osservatori, anche appartenenti al mondo diplomatico, hanno ritenuto l’iniziativa dell’Aia velleitaria per non dire inutile. È così?
La Corte penale internazionale è nata certo con una generosa e grandiosa finalità, punire i crimini internazionali da chiunque commessi, ma con una debolezza iniziale che l’ha resa poco credibile. Ricordiamo che non fanno parte della Cpi gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’India, Israele, l’Iran. Nel corso degli anni è sembrata scivolare verso una marcata politicizzazione velatamente anti-occidentale, per cui le sue sentenze a volte sono apparse tinteggiate di colori politici, dove l’elemento giuridico sostiene e giustifica l’elemento politico.