«Spesso sento dire: “Chi ha sbagliato deve pagare”. Ed è vero. Ma la pena in carcere, per essere giusta, deve contenere in sé un seme di speranza. Non può ridursi a un parcheggio di carne umana, non può diventare una condanna all’asfissia, alla solitudine, alla follia…». Lo dice il segretario della nuova Dc, ex presidente della Regione Sicilia e soprattutto ex carcerato Totò Cuffaro. All’annuncio del ministro Nordio che si dice pronto, per combattere il sovraffollamento nelle celle, a far uscire dalle carceri 10 mila detenuti con pene al di sotto dei due anni, Cuffaro si sofferma sui dati dell’emergenza e ricorda che la civiltà di un Paese “si misura nelle nostre carceri”. Poi in un accenno sui suoi trascorsi da detenuto, spiega che «il carcere non è il luogo della vendetta, ma è e dovrebbe essere il luogo di recupero” e di rispetto, ma non solo per i carcerati, anche per migliaia di guardie penitenziarie che vivono lo stesso “inferno”». Lo abbiamo sentito.

Segretario Cuffaro, poco tempo fa il Tribunale del riesame di Catania ha risarcito con 11mila euro, per violazione della Carta dei Diritti dell'uomo, un ex detenuto costretto a vivere per mesi in una cella sovraffollata, con soli 3 mq a disposizione. Lei in vista dell’annunciato aumento delle temperature di questi giorni già roventi, ha detto che «con questo caldo torrido il carcere si trasforma in una agonia... Il tutto tra l’indifferenza della società».

Si parte dalla sentenza Torregiani, del 2013, emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che condannò lo Stato Italia per lo stato di sovraffollamento delle nostre carceri. Sostanzialmente la parte più consistente di quella sentenza si riferisce a tutti quei detenuti che non hanno a disposizione i metri quadrati idonei per la detenzione disposti dalla Convenzione europea. Se oggi un imprenditore italiano volesse avviare un allevamento di maiali con fondi Ue, l’’ Europa gli chiederebbe per ogni maiale, di prevedere almeno 7 mq a disposizione dell’animale. Io lo dico per esperienza personale. Quando ero carcerato ci siamo ritrovati in 4, 5 e talvolta 6, con a disposizione solo una cella di 12 mq. Allora lo Stato emanò una legge in cui disse che bisognava prevedere per i detenuti ai quali era stata riconosciuta una detenzione non idonea uno sconto di pena. Quella buona legge non è stata mai applicata o quasi. E’ stata una presa per i fondelli. Sono stati pochissimi i Tribunali del Riesame ad osservare la norma. Quindi va dato atto al tribunale di Catania di aver avuto il coraggio di applicarla”.

Lei recentemente ha detto che «quando un paese accetta che in una cella pensata per una sola persona ne vivano tre, quando si ignora il grido silenzioso che sale da quelle mura, quella società ha smarrito la propria umanità». 

La più grande disumanità del nostro tempo è la mancanza di umanità che attraversa sia lo Stato che i cittadini. E se nulla fa la società che non urla per dire quello che sta succedendo nelle carceri, nulla fa la politica che è lo specchio della società ed è alla ricerca del consenso. Bisogna che l’opinione pubblica maturi l’idea che chi va in carcere per scontare la sua pena deve avere rispettata la sua dignità e bisogna che maturi l’idea che le carceri non sono luogo di pena, ma di rieducazione e di risocializzazione.

Recentemente anche il presidente Mattarella s’è soffermato sull'emergenza carceri ed è tornato ad invocare un intervento urgente per risolvere il drammatico problema delle condizioni di vita dei detenuti e dei suicidi «causati anche da un sovraffollamento insostenibile». Il presidente ha aggiunto che «i luoghi di detenzione non devono trasformarsi in palestra per nuovi reati» e che «ogni detenuto recuperato equivale a un vantaggio in sicurezza per la collettività».

Ma questo lo diciamo tutti anche perché lo sancisce la nostra Costituzione che sostanzialmente dice che in Italia la pena deve essere rieducativa e risocializzante, non punitiva. Purtroppo questi articoli della costituzione sono solo una bella scrittura, ma nessuno li rispetta.

Lei ha vissuto per anni in prigione per un reato pesante, quello di concorso esterno in associazione mafiosa. Che idea si è fatto di questo regime carcerario che spinge molti detenuti a suicidarsi?

Io ho trascorso 1768 giorni di calvario. Non ho avuto un giorno di sconto, né i servizi sociali che mi spettavano. Su di me lo Stato ha voluto dare una punizione esemplare. Io lo capisco, non vivo nell’Iperuranio. Ho accettato la detenzione per intero. E ho vissuto dentro una cella con 4 persone, col caldo torrido dell’estate e con le zanzare che ti uccidevano e col freddo terribile d’inverno che non potevi riscaldarti perché non avevi coperte a sufficienza. Inoltre avevo un letto duro e terribile. Avevamo una latrina che ci serviva anche da cucina, dove cucinavamo perché se non avessimo avuto quel poco di pasta da cucinarci rischiavamo di non avere da mangiare. In carcere si dimagrisce perché c’è poco da mangiare. Lei sa quanto destina il carcere per i pasti di ogni detenuto mattina, pranzo e cena? Poco più di 3 euro a persona.

Un detenuto con un passato da ministro ed ex sindaco di Roma come Gianni Alemanno dal carcere ha scritto una lettera ai presidenti di Camera e Senato, La Russa e Fontana, per denunciare l’inferno delle “celle forno” con 45 gradi… mentre «la politica dorme con l’aria condizionata…».

Alemanno dice cose vere, ha tutta la mia comprensione e rivivo, con lui, le mie sofferenze, i miei patimenti e il mio dolore. Le celle sono forni e se fossero solo tali potrebbero già essere difficili da accettare, ma sopportabili. Ed invece sono dei forni con all'interno zanzare che entrano nelle celle perché le finestre rimangono aperte per fare passare l'aria e che assaltano i detenuti, divenendo causa di infezioni, prurito, dolore. Una cosa terrificante. Ricordo l'insopportabile caldo, il sudore, le zanzare e il tanfo che emana il carcere e che esce dai bagni. La sofferenza di Alemanno riflette la mia, ho vissuto quei giorni terribili e mi sono salvato soltanto grazie all'amore per i miei familiari e alla speranza di poter tornare ad essere una persona in un mondo civile.

La detenzione, come lei scrive, dovrebbe essere rieducativa e contenere il seme della speranza. «Spesso,- lei ha aggiunto - invece, appare come un mezzo vendicativo verso chi ha sbagliato, tra l'indifferenza della gente che non comprende che uno Stato democratico non può vendicarsi, ma deve puntare al recupero...». Allora segretario Cuffaro pensa che nelle carceri italiane si stia smarrendo del tutto la nostra civiltà?

In molte occasioni abbiamo smarrito questa civiltà e senz’altro l’abbiamo smarrita nelle carceri. Io ho riassunto in una frase il dramma che si vive nei nostri penitenziari: il carcere non è storia di corpi, è storia di anime. Uno Stato non può essere vendicativo. Deve essere padre per i suoi figli e lo deve essere anche per quelli che hanno sbagliato. E’ una scelta etica prima ancora che religiosa.