Anna Foa ha insegnato Storia moderna nell’Università di Roma “La Sapienza”. Per tanti anni i suoi studi si sono concentrati anche sulla storia degli ebrei. A giugno Foa si è aggiudicata la prima edizione del Premio Strega per la sezione saggistica con il libro “Il suicidio di Israele” (Laterza). «Viviamo – commenta la storica e saggista – un momento molto delicato, caratterizzato da rabbia e confusione». Ad alimentare la rabbia e la confusione è la politica del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Bibi sta facendo di tutto per portare lo Stato d’Israele all’isolamento ed è il protagonista di una deriva in cui l’uso della forza contraddistingue ogni azione. A causa di questo approccio fenomeni quali la violenza e l’intolleranza trovano sempre più terreno fertile.
Professoressa Foa, indossare la kippah è diventato pericoloso anche in Italia?
Probabilmente sì. Da quello che risulta dall’episodio di Milano, a giudicare dal video che è stato diffuso, è anche possibile che il turista francese non sia stato individuato come ebreo, ma come israeliano. Comunque questo aspetto non ha importanza. Stiamo parlando di qualcosa di inaccettabile. In un caso si tratta di un episodio antisemita, nell’altro caso di una chiusura verso gli israeliani. Mi viene in mente, con le dovute distinzioni, la vicenda del direttore d’orchestra russo Gergiev, che non si è più esibito nella Reggia di Caserta. Non si è trattato dell’annullamento del concerto di un russo, c’è stato l’annullamento del concerto di un propagandista di Putin. Ritornando a quanto successo nella stazione di servizio vicino a Milano, episodi del genere vanno condannati e spero che siano giudicati gli autori dell’aggressione. Tutta questa ondata di antisemitismo si confonde con una presa di posizione dell’opinione pubblica che si è molto trasformata negli ultimi due mesi. La fame e la carestia indotta dal governo israeliano a Gaza hanno spostato moltissime posizioni. Pensiamo a quella dell’Unione europea, con il riconoscimento del presidente francese Macron e del premier britannico Starner dello Stato della Palestina. Attenzione pertanto a non perdere mai di vista il tema principale. Mi riferisco a quello che sta succedendo a Gaza con la fame e la morte di migliaia di persone.
Antisemitismo e antisionismo vengono confusi. È una ignoranza di fondo dettata da odio? Ci può aiutare a fare ancora una volta chiarezza?
Antisemitismo e antisionismo sono confusi innanzitutto dal governo israeliano ogni volta che qualcuno critica le sue posizioni e il suo operato. Ricordiamoci l’intervento di Netanyahu all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il quale ha parlato di palude di antisemitismo, ha criticato l’Unrwa (Agenzia Onu per il soccorso dei profughi palestinesi, ndA) e tutte le organizzazioni internazionali di soccorso definendole senza mezzi termini antisemite. La prima confusione fra antisionismo e antisemitismo, dunque, viene da Israele. Che ci sia una ricaduta sul mondo ebraico in generale in merito a quello che succede in Israele, poi, è evidente. Non va neppure dimenticato che Israele è un Paese fortemente diviso con una opposizione che scende in piazza quasi tutti i giorni per protestare contro Netanyahu e l’operato del suo esecutivo.
Israele, a causa del governo Netanyahu, sta consumando il proprio suicidio con un atteggiamento sempre più isolazionista. Fa ancora in tempo a correre ai ripari?
Correre ai ripari vorrebbe dire certamente eliminare questo governo. È difficile fare previsioni in una situazione di guerra come questa. Non esiste un’opposizione istituzionalizzata che sia in qualche modo decisiva, in grado di subentrare alla guida del Paese, come è stato nel passato. I laburisti sono scomparsi. L’opposizione è vasta nelle manifestazioni di piazza, ma non ha delle espressioni politiche tali da formare e reggere un nuovo governo. Insisto però nel dire che la prima cosa è fermare la guerra e lo sterminio al quale stiamo assistendo, dove è palese lo squilibrio di forze con una popolazione che muore di fame, di sete, di malattie e di bombe. In Israele si parla ormai apertamente di genocidio. Lo dicono diverse organizzazioni, come “B’Tselem” impegnata nella difesa dei diritti umani. In tale contesto, ricordiamo pure il voto della Knesset sull’annessione della Cisgiordania. A me sembra che si tratti di una situazione al limite. Però può anche essere che questo limite a un certo punto si rovesci in una situazione più favorevole.
Il riconoscimento dello Stato della Palestina da parte da vari Paesi, pensiamo alla Francia e anche all’orientamento favorevole del Regno Unito, è solo una mossa per fare pressione politica su Israele?
È un po' più di una mossa di pressione politica. È un gesto significativo di una parte dell’Europa. Io spero francamente che anche la Germania aderisca a questa svolta. L'idea che uno Stato palestinese ci possa essere è di sicuro un segnale molto importante.
Come immagina il futuro di Israele dopo Netanyahu?
È difficile immaginare questo momento prima di tutto per la situazione terribile che si sta verificando. Purtroppo, la morte e lo sterminio hanno preso il sopravvento. Persino una persona che ha collaborato con la produzione del documentario “No other land”, vincitore del Premio Oscar, è stata assassinata da un colono due giorni fa in Cisgiordania. È un mondo alla rovescia in cui tutto quello che si immagina ha un valore utopistico. Io spero in una coesistenza fra palestinesi e israeliani. Cerco di prender nota di tutti gli elementi positivi che emergono giorno dopo giorno. Penso alla recente manifestazione in una città israeliana a prevalenza araba, che ha visto insieme ebrei e palestinesi. Penso che si sia trattato di un esempio confortante. Per la prima volta sono scesi in piazza i palestinesi di nazionalità israeliana. Gli elementi positivi che possono aprire la situazione verso futuro non mancano, però ci sono anche tanti elementi che ci inducono ad avere un’attenzione estrema e ci fanno prevedere un futuro molto nero.