Il Partito liberaldemocratico si avvia a Congresso a fine giugno e nel frattempo Luigi Marattin, già Pd e Iv, ci spiega perché sostiene il No ai referendum dell'8 e 9 giugno.

Onorevole Marattin, lei è contro i quattro quesiti sul lavoro, tre dei quali riguardano da vicino il Jobs act: perché?

Sono quesiti dettati dal populismo e dal furore ideologico. Nessuno di quelli affronta i veri problemi del mercato del lavoro di oggi: i salari bassi, la scarsa formazione, il cattivo matching tra domanda e offerta, gli aiuti alla mobilità territoriale. Tutte cose su cui il Partito Liberaldemocratico ha proposte, ma di cui non si può parlare perché la CGIL e il Campo Largo devono condurre le loro crociate ideologiche e populiste. Noi vorremmo parlare di riforma della contrattazione collettiva per dare più spazio a quella territoriale e aziendale, di detassazione piena e strutturale dei premi di produttività, di dimezzamento del carico fiscale per le micro-imprese che si fondono, di riforma radicale della formazione professionale, di incentivi economici ai lavoratori che si spostano per lavoro, di potenziamento del welfare aziendale. Ne parleremo tra l’altro al nostro primo congresso, il 28 e 29 giugno a Bologna.

Il primo quesito è quello sul reintegro di chi viene licenziato ingiustamente: perché è contrario?

L’unico caso in cui il reintegro tornerebbe è quello dei licenziamenti collettivi, che però sono una minima parte dei licenziamenti. In altri casi, come dice la Corte Costituzionale, si avrebbe addirittura un “arretramento di tutela”, perché la durata massima dell’indennizzo in caso di licenziamento scenderebbe da 36 a 24 mesi. In altri casi ancora, il reintegro viene addirittura tolto, come nel caso di chi lavora…nei sindacati. Dei quattro, questo è il referendum più dannoso e più populista.

Il secondo riguarda gli indennizzi per chi viene licenziato ingiustamente: qual è la sua posizione?

Qui si parla di chi lavora in imprese con meno di 15 dipendenti. Ad oggi in caso di licenziamento l’indennizzo va dalle 6 alle 14 mensilità. Se vince il Si, l’ammontare verrà invece deciso in totale autonomia da un giudice, senza limiti. Quindi se io ho un’aziendina di 5 dipendenti (che invece avrebbe bisogno di essere incentivata a crescere), mi troverò nella situazione di non avere la minima idea di quanto mi costerà licenziare una persona prima di assumerla, perché lo dovrà decidere senza alcun paletto un giudice che, magari, è un grandissimo giuslavorista ma non ha mai visto un bilancio in vita sua. Col risultato che quella persona o non la assumo, o la assumo in nero.

Il terzo quesito è piuttosto tecnico e riguarda le causali dei contratti: quali sono le ragioni del “no”?

Già oggi se devo rinnovare un contratto a termine oltre i 12 mesi devo scrivere una causale. E non posso rinnovarlo per più di 24 mesi. Ma alla CGIL e al Campo Largo questo non basta: vogliono le causali anche se assumo qualcuno per la prima volta, e per un periodo inferiore ad un anno. Ma la quota di precari sul totale dei dipendenti è esattamente la stessa (13,9%) di dieci anni fa ed è in linea con quella europea. Ed è inferiore di 3 punti a quella di 4 anni fa. La precarietà non si combatte riempiendo il mercato del lavoro di burocrazia: l’unico effetto di questo referendum sarà aumentare il contenzioso e la difficoltà nello stipulare i primi rapporti di lavoro, che necessariamente sono a termine.

Il quarto e ultimo quesito sul lavoro riguarda la responsabilità dei committenti riguardo ai subappalti: anche in questo caso lei e per il no, perché?

Perché uno dei principi base dell’attività economica (e non solo, direi) è far coincidere autonomia con responsabilità. Se la ditta A assegna un lavoro alla ditta B sulla base di una sua specifica attività e competenza (su cui la ditta A, invece, non possiede né competenze né capacità di controllo), non vedo un motivo al mondo per cui la ditta A dovrebbe essere responsabile per una mancanza della ditta B. Se il referendum passasse, ci sarebbero serie conseguenze sulle filiere degli appalti, senza a mio avviso nessun reale avanzamento nella sicurezza sul lavoro. Che invece si avrebbe se iniziassimo a concentrare in un unico ente le competenze sui controlli, che oggi sono sparse su ben 4 enti (ispettorati del lavoro, Inps, Inail e Asl). Ancora una volta, si cerca di far pagare ai privati l’inefficienza del settore pubblico.