Massimo Brandimarte, lei è stato gip per diversi anni. Ha mai subìto pressioni da parte dei pm?

Quando venne istituita la procura presso la pretura circondariale dove lavoravo, proposi al capo dell’ufficio di non dislocare i gip nella nuova sede dei pm: pensavo che anche una separazione logistica avrebbe rafforzato l’autonomia dei ruoli. Così fu. Pressioni dai colleghi pm mai. Svolgevo il mio ruolo in piena libertà. La “pressioni”, sempre nei limiti della legittimità, se ci sono, magari partono dall’organo investigativo, nel caso in cui costui ritenga, in buona fede, di dover caldeggiare presso il pm una possibile richiesta di arresti. Tutto fisiologico, sin qui. Sta al pm, però, filtrare, senza lasciarsi condizionare da eccessi di zelo da parte dei suoi collaboratori. Ed al gip discernere, senza cedere all’emotività o a soluzioni reverenziali. Filtro e discernimento che, però, non sempre hanno funzionato, come la storia insegna.

In che senso?

La leggenda narra di un investigatore che aveva il pallino di contare gli arresti, grazie a lui disposti o in flagranza di reato o dall’autorità giudiziaria, e di comunicarli orgogliosamente ai suoi colleghi in tempo reale, tramite sms. Diceva Pirandello che la realtà supera di gran lungo la fantasia perché la realtà non si preoccupa di essere verosimile perché è vera. Comunque sia, il numero di arresti non deve mai funzionare come il numeratore di un conta passi, in ossequio ad una malintesa gratificazione statistico-professionale di qualcuno. Molti anni fa, un ottimo commissario di Polizia mi manifestò la sua meraviglia per il fatto che non avessi ancora deciso su una richiesta di intercettazione telefonica trasmessami dal pm, ma senza il dossier allegato. Restò quasi incredulo quando gli spiegai che non potevo decidere senza aver prima ricevuto e letto quel dossier. Dote indefettibile di un magistrato deve essere il coraggio di decidere e di farlo in perfetta autonomia, secondo scienza e coscienza. Se non ce l’ha, rischia di far danni.

Un altro episodio?

Uno stimatissimo pm mi chiese la custodia in carcere di un pubblico funzionario, incensurato, perché ritenuto responsabile di un presunto reato di peculato. Gli episodi risalivano a due anni addietro. Inoltre, più che di peculato, sembrava trattarsi di truffa, che, all’epoca, era coperta da un’amnistia appena varata. Rigettai la richiesta. Imprevedibilmente, mi fu reiterata nella forma degli arresti domiciliari. La richiesta aveva più o meno il senso di chi, non avendo potuto ottenere il massimo, sperasse almeno di ottenere il minimo (si fa per dire). Compresi la nobile finalità moralizzatrice sottesa alla richiesta. Ma dovetti spiegare che l’assenza di esigenze cautelari per una misura impediva ogni altra. E rigettai, per la seconda volta. Seppi, più in là, che l’interessato fu assolto.

Che pensa della proposta del Governo di un organo collegiale per decidere sulle richieste cautelari?

È intelligente e, sinora, la più aderente ai principi costituzionali di indipendenza del giudice e di presunzione di innocenza. Significa recidere, anche dal punto di vista dell’immagine, qualsiasi eventuale collegamento, reale o presunto, di tipo culturale, psicologico o personale tra pm e gip. La previsione di un organo decisionale estemporaneo e sganciato da entrambi gli uffici menzionati diventa garanzia di terzietà sostanziale. La collegialità, poi, assicura ponderazione e confronto dialettico maggiori. La consapevolezza di poter vedere respinta la propria tesi accusatoria, questa volta non in modo più o meno discreto e indolore dal collega gip della porta accanto, con il quale magari hai una frequentazione amicale, ma in maniera più pubblica, da un collegio composto da magistrati di un altro ufficio e che non conosci, certamente è un buon antidoto contro richieste di misure restrittive eventualmente esuberanti. Ai fini della progressione in carriera, si potrebbe prevedere la comparazione statistica tra richieste di misure restrittive accolte e non accolte. Di due cose sono sempre stato convinto.

Quali?

Più discrezionalità il legislatore concede al magistrato e più questo se la prende. Ma, si badi bene, in perfetta buona fede, per paura di sbagliare in eccessi di garantismo. Con lo squilibrio che ne consegue.

Poi?

Sembra che la quarta dimensione, cioè il tempo ed il suo inesorabile trascorrere, sia inesistente nel processo, visto che si arriva non poche volte a richiedere e disporre l’arresto per fatti lontani, come se la misura fosse una forma di gratificazione per la conclusione delle indagini fine a se stessa, piuttosto che un’esigenza cautelare imprescindibile ed attuale. Che dire, poi, della proroga delle indagini preliminari richiesta ed accolta con formule letterarie di stile, prive di reale giustificazione?

Secondo lei potrebbe essere un primo passo per separare i requirenti dai giudicanti?

Ritengo che la soluzione proposta costituisca un passo decisivo in direzione, se non della separazione, quanto meno della sempre più netta distinzione di funzioni. Tra i problemi della giustizia italiana, un peso preponderante l’hanno sempre avuto l’abuso della custodia cautelare e delle intercettazioni telefoniche. Sembra che, con la riforma del processo penale del 1998, la perdita, da parte dei pm, del potere diretto di arresto sia stata quasi compensata, di fatto, con il massiccio uso del potere di richiesta delle misure restrittive, dinanzi a cui i gip si sono ritrovati impreparati psicologicamente.

E invece dell'interrogatorio in contraddittorio prima dell'arresto cosa pensa?

L’interrogatorio prima di poter procedere all’arresto rappresenta una scelta di civiltà. Tuttavia, mi rendo conto che, nella pratica, potrebbe rimanere una chimera. Forse, la proposta potrebbe essere mitigata limitando il divieto di misure cautelari, senza preventivo interrogatorio, alla sola custodia in carcere. Salvo casi eccezionali. Sarebbe già un bel passo in avanti.

L'onorevole Costa di Azione propone il divieto di pubblicazione dell'ordinanza di custodia cautelare fino a che non siano concluse le indagini ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Condivide?

D’accordissimo sul divieto di pubblicazione, sino al termine dell’udienza preliminare. Serve a tutelare i diritti e la riservatezza del presunto innocente, della persona offesa e dei terzi estranei menzionati. Sin qui, basta la conoscenza del fatto.