Il caso di Alfredo Cospito, l'anarchico finito al 41 bis perché considerato pericoloso come un boss di mafia, ci porta di nuovo a discutere della legittimità del cosiddetto carcere duro, una sorta di tortura legalizzata. E la domanda che dobbiamo porci è una e una soltanto: quanto possiamo derogare alla Costituzione e al nostro Stato di diritto? E quanto la lotta alla criminalità organizzata o a qualsiasi forma di estremismo politico violento può giustificare una eccezione ai nostri valori e al nostro sistema di garanzie? Che si tratti di Totò Riina, del mostro di Firenze o dello stesso Alfredo Cospito, la risposta è sempre la stessa: i diritti devono essere sempre assicurati, tutelati. E ogni qual volta subiscono un graffio o una lesione, sanguina l’intero corpo del nostro fragile Stato di diritto e vengono indebolite le garanzie di ognuno di noi. Se infatti deroghiamo una volta, si può derogare altre dieci, cento, mille volte: l'eccezione diventa consuetudine e ogni ferita diventa una cicatrice permanente. Ed è anche per questo, per tutelare l’equilibrio della nostra giurisdizione e i diritti di tutti noi, che da anni questo giornale chiede che il rilievo dell’avvocato venga più esplicitamente riconosciuto in Costituzione. La toga degli avvocati italiani incarna quei valori, quei principi inderogabili che devono essere scolpiti, rafforzati nella nostra Carta. Insomma, non si tratta di un vezzo corporativo ma del riconoscimento della sacralità e dell'inviolabilità dei diritti di noi tutti.