Un ex papa che indirizza un siluro micidiale contro il suo successore non si e era mai visto ( anche perché, in verità, non si erano mai visti ex papi…). La decisione di Joseph Ratzinger di compiere un gesto clamoroso e aperto di ostilità verso Francesco lascia abbastanza stupiti. Ma suggerisce anche alcune riflessioni.

Stupiti perché magari uno non si aspetta la freccia avvelenata dal rappresentante ( o, comunque, ex rappresentante… ) di Dio in terra. Deve essere complicato, per un cattolico, immaginare come possa una persona scelta e ispirata dallo Spirito Santo - cioè dalla bontà celeste - compiere un gesto oggettivamente perfido come quello compiuto da Benedetto XVI. Gli hanno chiesto di scrivere una introduzione a un libro su Francesco, lui poteva tranquillamente rispondere di no, punto e basta. Non sarebbe successo niente. Ma accettare l’incarico, poi scrivere con feroce malizia di non avere avuto tempo di leggere il libro, e infine vergare parole al veleno contro uno degli autori... beh sembra un gioco dettato molto più dall’astio che da Dio.

Dopodiché il Vaticano ha fatto un pasticcio e ha censurato Ratzinger. E a quel punto l’ex papa ci ha messo il carico da 11, innalzando ancora il livello di cattiveria nello scontro, e vendicandosi nel modo in cui in genere fanno i politici o i Pm: pas- sando le carte a qualche giornalista amico e facendo scoppiare lo scandalo.

Fin qui lo stupore. Diceva Andreotti, che di Vaticano se ne intendeva assai, «a pensare male si fa peccato ma in genere ci si azzecca…». Poi c’è la riflessione, e nella riflessione lasciamo da parte le ironie e gli sberleffi. Dunque Ratzinger, in modo abbastanza esplicito, ha aperto le porte al piccolo e battagliero esercito, interno alle gerarchie ecclesiastiche, che è in guerra aperta con il papa. La guerra, come tutte le guerre, riguarda naturalmente il potere e la suddivisione del potere, però riguarda anche alcune grandi scelte ideali. E questa guerra, combattutissima dentro la Chiesa e dentro le gerarchie, si è largamente estesa a pezzi ampi di società. Alla politica, dell’intellettualità, soprattutto al giornalismo.

A questo punto ci interessa limitatamente la questione del potere nella Chiesa. Ci interessano di più, perché riguardano tutti - anche il pezzo di società dei non credenti ( della quale, peraltro faccio parte) - le idee di fondo che sono al centro di questa guerra.

Papa Francesco ha portato dentro la Chiesa e dentro il suo magistero una vera e propria rivoluzione. Ha rovesciato senza tanti indugi gli atteggiamenti del suo predecessore, e anche in gran parte i suoi punti di vista. Ha trasformato la dottrina della Chiesa da dottrina fondamentalmente conservatrice ( come era diventata da subito dopo la conclusione del Concilio, diciamo più o meno dalla fine degli anni sessanta) a dottrina liberale e di progresso. Ha accentuato la parte antiliberista del pensiero di Wojtyla, gettando a mare però tutto l’apparato fideistico, tradizionalista e liturgico di Giovanni Paolo II. Ha inventato un modello di Chiesa molto sociale, costruita sul valore assoluto della carità e della fratellanza ( ispirandosi a San Paolo), e che mette in secondo piano l’importanza della fede, i riti, le gerarchie, gli autoritarismi. Ha immaginato, e sta provando a costruire, una Chiesa che sia il punto di riferimento per un pezzo di società laica, e anche non credente, liberale, democratica e che considera la solidarietà e l’aspirazione all’uguaglianza come le bussole per la politica.

Vi pare poco? Beh, in nessun caso sarebbe poco, un’impresa di questo genere. Diventa davvero un’impresa titanica se viene messa in moto, in Occidente, in un momento storico caratterizzato dal dilagare, nello spirito pubblico, del populismo, del nazionalismo, del giustizialismo, ma anche della meritocrazia e del mercatismo. Cioè tutto il contrario del bagaglio ideale e spirituale che il papa getta nella mischia. Con la consapevolezza di compiere una scelta minoritaria, quasi di elite, e cioè una scelta in contrasto con un pezzo grandissimo della storia della Chiesa ( che, di solito, ama lo stare in maggioranza).

C’è una obiezione, che spesso mi sento fare. Questa: come fai a sostenere che il papa è nemico del populismo, visto che lui stesso ha un’origine culturale e persino religiosa di chiaro stampo populista, o addirittura peronista? La domanda, naturalmente non è infondata. Il fatto è che il populismo di oggi - sostanzialmente nazionalista, xenofobo e legalitario - ha pochissimo a che fare col populismo peronista dal quale proviene Bergoglio. Il peronismo di Bergoglio è in modo evidente un peronismo rivoluzionario. Il populismo che sta dominando l’Europa è di carattere reazionario. Il peronismo di Bergoglio è fortemente cristiano, affonda le radici sull’essenziale del vangelo. Il populismo moderno è completamente pagano, anticristiano, cresciuto nella negazione orgogliosa della solidarietà, della diversità, e nel rifiuto degli ultimi. Ho scritto queste cose per sostenere un concetto molto semplice: la lotta tra bergogliani e anti bergogliani ( nella quale ha deciso di scendere anche Ratzinger) non è una semplice guerra civile interna alla Chiesa. E’ il fronteggiarsi tra due idee di modernità, opposte e difficilmente conciliabili, che con il passare dei prossimi anni finiranno per giungere alla resa dei conti finale. Sarà difficile assumere posizioni intermedie. Bisognerà scegliere. La modernità è solidarietà e diritti, o invece la modernità è merito e mercato?

Ciascuno di noi dovrà rispondere, compiendo una scelta non solo di fede. E in questa scelta la Chiesa avrà un peso grande. Bisognerà vedere se resterà la Chiesa di Bergoglio o tornerà ad essere la Chiesa di Ratzinger.