Il 13 giugno 1909 veniva fondata l’Associazione generale tra i magistrati d’Italia. Il 9 febbraio dell’anno in corso, in occasione della celebrazione del centodecimo anniversario dell’evento, i rappresentanti dell’attuale Associazione Nazionale Magistrati ( Anm), oltre ad avere laicamente festeggiato con un partecipato congresso nazionale, tenutosi presso l’università La Sapienza, sono stati ricevuti nella sala del Concistoro in Vaticano da Sua Santità Papa Francesco.

Con un messaggio di rare chiarezza ed incisività il Pontefice ha ricordato ai rappresentanti dei magistrati il valore fondamentale della virtù della Giustizia nella attuale società ed i principi basilari della deontologia giudiziaria. Ha sottolineato che, nella tradizione filosofica, la giustizia è la virtù cardinale per eccellenza, in quanto, per la sua realizzazione, sono necessarie anche le altre virtù ( prudenza, fortezza e temperanza). Ha evidenziato che essa deve tradursi in un habitus, ossia in un preciso modo di essere e di vivere, che va incarnato ed indossato non come un semplice orpello esterno o un vestito occasionale per le feste, ma come un abito da portare sempre addosso, “perché ti riveste e ti avvolge, influenzando non solo le scelte concrete, ma anche le intenzioni e i propositi”.

Una continua tensione ideale e morale, da non spegnere mai e da coltivare giorno dopo giorno, avendo la giustizia come finalità principale quella di comporre le liti tra privati ed i conflitti sociali.

Ha invitato alla comprensione dei “nuovi” diritti, alla attenzione agli “ultimi” ( ed alla loro integrazione) ed a finalizzare sempre l’attività giurisdizionale alla pace collettiva.

Ha poi ricordato ai magistrati il connotato specifico dell’attività associativa, ossia la “dedizione disinteressata”, resa possibile dalla prerogativa ( che è anche presupposto) dell’indipendenza. Citando le precipue norme dello statuto e del codice etico dell’Anm, patrimonio morale della storia associativa dei magistrati, Papa Francesco ha implicitamente indicato quei vizi che minano e corrompono il munus che dovrebbe essere esercitato all’interno dell’associazione.

Esistono, invero, alcuni vizi che offuscano ( ormai da decenni, mi permetto di aggiungere) l'immagine della magistratura associata, ma anche dell’autogoverno: il collateralismo politico dei gruppi presenti all’interno del “sindacato”; una malcelata strumentalizzazione dell'impegno associativo per fini carrieristici e individualistici o, comunque, di parte; le diffuse lottizzazione e spartizione di nomine ed incarichi di qualunque natura, attraverso pressioni di ogni genere ( dalla diffusa abitudine delle telefonate per perorare una causa a veri e propri accordi, contrari agli scopi statutari, oltre che alla normativa primaria e secondaria); l'incapacità di confronto e di ascolto delle voci minoritarie, specialmente di quelle non appartenenti a gruppi o cordate.

Illuminanti le parole pronunciate da Papa Bergoglio al riguardo: “L’indipendenza esterna, che porta ad affermare con forza il suo ( dell’Anm, ndr) carattere non politico ( cfr. Statuto, art. 2), tenga lontani da voi i favoritismi e le correnti, che inquinano scelte, relazioni e nomine; e l’indipendenza interna ( cfr Statuto, art. 1) vi renda invece liberi dalla ricerca di vantaggi personali, capaci di respingere pressione, segnalazione o sollecitazione diretta ad influire indebitamente sui tempi e sui modi di amministrazione della giustizia”.

Purtroppo gli ultimi anni sono stati connotati da una forte chiusura corporativa delle correnti rispetto a qualsiasi altra forma di manifestazione di idee a loro estranea o diversa, riducendo al lumicino gli spazi del confronto assembleare e democratico, obliterando l’attuazione degli esiti di consultazioni referendarie rappresentanti il volere della maggioranza degli iscritti, tarpando le ali del confronto persino nella rivista dell’Anm, La Magistratura, con improprie forme di censura. Sua Santità ha emesso, ad avviso di chi scrive, una vera e propria ‘ bolla’ papale di scomunica nei confronti delle cosiddette ‘ correnti’ e delle loro degenerazioni, da diffondere urbi ed orbi, per usare la terminologia ecclesiastica, e da tenere sempre a mente.

Soltanto seguendo l’afflato morale dei precetti enunciati nel codice etico dei magistrati è possibile il superamento della figura di funzionario- burocrate in cui talvolta preferisce rifugiarsi il magistrato quivis de populo per opportunismo o per conformismo, se non per pavidità.

L’insegnamento condensato nel discorso del Papa dovrebbe essere stampato e pubblicato in ogni ufficio giudiziario e dovrebbe costituire il “breviario” quotidiano dei magistrati chiamati a svolgere un ruolo di rappresentanza associativa al fine di animare sempre la loro azione, perché siano “ben più che funzionari, ma modelli di fronte a tutta la cittadinanza e in particolare nei confronti dei più giovani”.

Grazie, Santo Padre, per le Sue ispirate parole e per lo straordinario regalo di compleanno elargito all’Anm!

* Magistrato presso il Tribunale di Ragusa