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L’attacco dello Stato d’Israele contro l’Iran, hanno chiarito i vertici militari dell’Idf, non è un’operazione, ma una «guerra, pianificata e condotta a 1.500 chilometri da casa». Secondo il professor Pejman Abdolmohammadi, esperto di Relazioni internazionali del Medio Oriente delle Università di Trento e Berkeley, siamo di fronte alla «resa dei conti con la Repubblica Islamica». «Il gioco è finito – dice al Dubbio -, game over. Inizia una nuova partita».
Professor Abdolmohammadi, l'attacco di Israele era stato annunciato. Servirà a regolare una volta per tutte i conti con la Repubblica islamica? Fino a dove può spingersi Netanyahu per neutralizzare il nemico iraniano?
Dopo il 7 ottobre 2023, l’idea di Israele è stata quella di aver cambiato la visione strategica. Israele vuole colpire tutto quanto rappresenta un pericolo per la propria esistenza, le posizioni politiche radicali e anche non radicali, paradossalmente moderate. Ha colpito in tutto il Medio Oriente e alla fine di una serie di eventi è rimasta solo la testa del serpente, vale a dire la Repubblica islamica. È necessario però sottolineare un concetto importante.
A cosa si riferisce?
Israele ieri mattina non ha attaccato l’Iran, ha attaccato la Repubblica islamica colpendola in modo chirurgico. Israele ha colpito i comandanti dei pasdaran che sono parte dell'oligarchia impegnata a gestire il cosiddetto “Asse della resistenza”, composta da una vera e propria organizzazione criminale.
Sembra che la natura del governo Netanyahu sia in prevalenza quella di fare la guerra. Cosa ne pensa?
Netanyahu ha giocato il ruolo del poliziotto cattivo, mentre Trump ha giocato il ruolo del poliziotto buono. Entrambi sono riusciti nel loro intento, hanno fatto un gioco al contrario tenuto conto di quello che di solito faceva la Repubblica islamica. Questo tipo di strategia ha messo in trappola proprio la Repubblica Islamica. Netanyahu porterà avanti le azioni belliche. Ma non sarà una guerra classica, sarà una guerra, come stiamo vedendo, tutta basata sull'intelligence con colpi mirati su punti dalla grande rilevanza logistica, riguardanti il nucleare e gli armamenti, con una attenzione verso la società iraniana. Questo è un elemento fondamentale. Non c'è un attacco verso gli iraniani, come lo stesso Netanyahu ha sottolineato. Le attenzioni dello Stato d’Israele sono tutte rivolte alla Repubblica islamica e al tipo di potere che rappresenta.
L’Iran come potrebbe reagire?
Vorrebbe reagire in modo forte, ma non ha tanti strumenti per farlo. Gli rimangono dei missili che possono ancora fare male a Israele per un massimo di 48 ore. Il resto non c'è più. L’Iran non ha più i proxy, non ha più le milizie, non ha più persone disposte a morire per la narrativa della Repubblica islamica, che è stata sepolta nel 2022 durante il movimento “Donne, vita, libertà”. La narrativa della Repubblica islamica del khomeinismo è finita. È venuto meno, mi consenta l’espressione, il materiale umano che manteneva in vita un certo tipo di sistema.
Stiamo assistendo al crollo di Hamas e di Hezbollah, oltre che dei pasdaran?
Non li vediamo più in azione come un tempo. Penso che non ci sia stato ancora un crollo definitivo, poiché la loro è una presenza sparsa. Ma da qui a poco il prossimo passaggio potrebbe essere il crollo definitivo.
Quanto sta avvenendo potrebbe avere delle ripercussioni all'interno dell’Iran? I dissidenti e gli oppositori politici potrebbero definitivamente ribaltare il regime?
Stiamo assistendo ad uno shock esogeno molto importante. Io però non parlerei di dissidenti e di oppositori nel senso che tutta la società iraniana desidera il cambiamento. La società iraniana ha dimostrato che non vuole più vivere in quel blocco etico, morale, arcaico, barbuto ed è pronta a cambiare. Per raggiungere questo obiettivo ha bisogno di qualche shock esterno. Pensiamo alla Rivoluzione americana: se non ci fossero stati i francesi, non avrebbe avuto successo. In Iran lo shock esterno potrebbe essere il catalizzatore per il cambiamento e per l’arrivo del nuovo Iran. Trump che tipo atteggiamento assumerà in questo scenario?
Il presidente Trump sta giocando, come sempre, in modo eccellente le sue carte. Ha fatto il ruolo del poliziotto buono. È riuscito ad anestetizzare la Repubblica islamica, colta di sorpresa con gli attacchi israeliani di ieri mattina. La partita di Trump è quella di continuare a negare che voleva fare la guerra, senza però negare l’appoggio a Benjamin Netanyahu. Trump ha bisogno delle somme ingentissime che arrivano dai Paesi arabi, del Golfo Persico. In apparenza il presidente americano fa la parte di colui che non voleva quanto sta accadendo, ma nella realtà è d'accordo con le decisioni prese.
Non c'è pace per il Medio Oriente. Qual è il piano di Netanyahu in quest'area?
La pace sta arrivando e sta passando proprio da una serie di cambiamenti enormi, anche molto radicali direi. Lo stiamo vedendo nelle ultime ore. La pace non c'è stata fino ad oggi. Negli ultimi quaranta, cinquant’anni il Medio Oriente è stato governato o dall’Islam politico-radicale o dai sistemi nazionalisti autoritari.