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Come nella Guerra dei Trent’Anni, come in Vietnam. Adesso è la volta del PD. Si sa, le potenze maggiori esportano la guerra e le sue devastazioni in territori poveri e depressi. Lo fecero spagnoli, olandesi, svedesi e inglesi nella Germania seicentesca e quattrocento anni dopo lo hanno fatto di nuovo americani, russi e cinesi in Indocina.
Lega e Cinquestelle si combattono dentro il PD, che si lacera nel problema di cosa fare in caso di crisi di governo e in questo modo impedisce che la crisi vera ci sia. Salvini non la farà mai al buio, vuol essere sicuro che se cade il governo si vada a votare: le esperienze di Berlusconi nel 1995 e nel 2006 sono state molto istruttive. Per lui sarebbe una tragedia politica trovarsi all’opposizione di un governo tecnico che dura tre anni, capeggiato da Di Maio e Zingaretti, che nelle more gli eleggono anche un Presidente della Repubblica di loro gradimento. I suoi Presidenti di regione lo cospargerebbero di pece per poi coprirlo di piume, prima di levargli la segreteria del partito.
Ma tutti nel PD sostengono di non essere disponibili a un governo con i Cinquestelle. Vero. Però le bugie esistono. Forse un governo tecnico sostenuto da PD e Cinquestelle si potrebbe accettare, senza ministri troppo politici. Si sa che il PD è un groviglio di spinte e controspinte. I più decisi avversari della formazione di un governo con i Cinquestelle sono i renziani, proprio quelli che pagherebbero un prezzo spaventoso in termini di seggi se si tornasse a votare.
Sarebbe davvero così difficile convincerli dell’opportunità di rinviare di qualche mese, di lasciar decantare la situazione, di aspettare che il consenso elettorale della Lega defluisca? E se non defluisce aspettiamo ancora un po’, magari fino all’inizio del semestre bianco.
Anche gli zingarettiani, qualora diventassero ministri e sottosegretari, potrebbero vedere diminuire il desiderio di andare subito a votare, con il rischio di tornare in Parlamento, ma solo per fare l’opposizione a un governo di centrodestra omogeneo e capace di durare una legislatura. Del resto Renzi l’ha fatto il presidente del Consiglio con parlamentari scelti da Bersani; non che sua finita benissimo, ma non si sa mai.
E allora resta tutto così. I democratici si rodono il fegato, leghisti e cinquestelle si godono il governo e vanno avanti come possono, forti del consenso del paese e preoccupati soprattutto di trovare un sostituto per Toninelli che non sia peggio di lui. Ce la possono fare.
Un PD devastato non è un partito di opposizione, ma un sostegno esterno alle forze di governo alle quali offre uno spazio nel quale scaricare problemi, contraddizioni, sogni, ambizioni, avanzi e qualsiasi cosa rischi di diventare un pericolo per la prosecuzione di non si sa neppure cosa sia, dato che alleanza non è e del contratto si parla sempre meno. Che fare allora, per trasformare il maggior partito escluso dal governo del paese in una forza politica in grado di incidere su quello che in questo paese succede? A ben vedere dovrebbe essere la sua maggior aspirazione, che non può venire compressa nel desiderio inconfessato di farsi dare qualche ministero e qualche posto da sottosegretario. È vero che lo scopo della politica non consiste nel fare opposizione, che il potere va utilizzato e che logora chi non ce l’ha, ma è altrettanto vero che usare i propri voti per regalare ai Cinquestelle la golden share sul governo italiano per i prossimi dieci anni almeno somiglia più a un crimine che a un’idiozia.
La strada maestra per andare al governo passa dalla caduta rovinosa di quello avversario, dalle elezioni e dalla formazione di una nuova maggioranza.
Le scorciatoie non sono previste in democrazia, come ha dimostrato l’esperienza di Monti. Per il PD la caduta del governo Salvini- Di Maio dopo poco più di un anno dalle elezioni è un obbiettivo al quale non si può rinunciare. Perciò Zingaretti e Renzi dovrebbero dirlo insieme che se questo governo cade si va a votare, non in luoghi separati e lontani, e prima di farlo accordarsi almeno in linea di massima sulla distribuzione dei collegi in caso di nuove elezioni. Forse così riuscirebbero a convincere Salvini che la crisi si può fare perché il suo sbocco naturale sono le urne.
A meno che qualcuno non speri davvero di mettere su un governo tecnico pur che sia, dopo aver fatto cadere quello esistente infilando spilloni in una bambolina somigliante a Conte. Magari per toglierli in fretta e furia. La visione di qualche buon film ambientato durante la guerra del Vietnam può aiutare.