«Il garantismo nostrano di fronte alle parole d’ordine dell’antimafia si scioglie come neve al sole, tutti hanno paura di essere marchiati con la stella gialla perlomeno dell’indifferenza e della contiguità alla cultura mafiosa»: così l’avvocato Gian Domenico Caiazza, già Presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane, legge quanto sta accadendo a Bari, in merito al presunto commissariamento del Comune del sindaco Decaro. Emerge chiaramente – per il noto penalista – il garantismo à la carte della destra e della sinistra.

Che idea si è fatto in generale di questa vicenda?

Questa vicenda, come altre, evidenzia i pericoli che corre la vita politica e democratica in questo Paese. In tema di antimafia ci siamo purtroppo dotati di poteri enormi che poi vengono esercitati e valutati a seconda dei punti di vista politici di appartenenza. Ma il problema di fondo è un altro.

Qual è?

La norma che regola lo scioglimento dei Comuni, che è una misura di prevenzione speciale, si basa su criteri estremamente discrezionali, poco determinati e però devastanti perché si vanno a sciogliere Assemblee democraticamente elette. In più queste misure sono accompagnate da un’aura quasi sacrale di intangibilità delle virtuosità antimafia: chiunque voglia formulare valutazioni critiche rispetto all’esercizio del potere di scioglimento di un Comune da parte delle Commissioni prefettizie o sulle interdittive antimafia rispetto ad una attività imprenditoriale sarebbe immediatamente iscritto nella categoria di fiancheggiatore. Quindi questa vicenda deve far riflettere tutti sotto vari aspetti: dalla possibilità che ci sia una forzatura da parte del Ministro dell’Interno, perché sembrerebbero non esserci le condizioni per attivare il potere dell’invio della Commissione, fino all’atteggiamento delle varie forze politiche.

Partiamo dal Partito Democratico. Enza Bruno Bossio in un'intervista a questo giornale qualche giorno fa ha detto il Pd ha sempre difeso la normativa, “manifestando una linea giustizialista”. Eppure ora corre in difesa di Decaro.

Da parte di esponenti dem sto ascoltando quotidianamente espressioni come ‘abuso’ e ‘uso politico’ dello strumento prefettizio. Però vorrei solo ricordare che l’ex presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi faceva l’elenco degli impresentabili. Adesso tuttavia Decaro diviene vittima, forse anche a ragione, ribaltando quelle che erano le opinioni sullo strumento che lo ha colpito. E poi si invocano questi opinion leader, come Don Ciotti, chiamati a dare o a togliere la patente di antimafia a questo o a quello. Non si possono chiamare le vestali dell’ortodossia antimafia perché ci vengano a dire ‘garantisco io per lui’.

Per quanto concerne il centro destra, sorprende l’atteggiamento giustizialista soprattutto di Forza Italia, da cui si è distaccata solo Licia Ronzulli.

Questo è il rovescio della stessa medaglia. Quando si parla di mafia, antimafia, garantismo, giustizialismo dovremmo fare riferimento a principi intangibili che non possono essere declinati a seconda delle convenienze. Invece, come sta emergendo in questa storia, sono invocati evidentemente a tutela solamente degli interessi propri. Ed è allora che vedi politici che, pur vantando la loro purezza garantista quotidianamente, vanno poi addirittura a sollecitare l’attivazione di un potere di polizia, alla vigilia di uno scontro elettorale che li vedrebbe probabilmente perdenti.

Quindi siamo in presenza di un garantismo à la carte per entrambi gli schieramenti politici?

Esattamente. Oltre al garantismo, abbiamo anche una antimafia à la carte che è sempre buona quanto colpisce l’avversario politico ma diventa abuso e persecuzione quando si permette di mettere in discussione gli amici.

È scoppiata anche la polemica relativa ad una foto del primo cittadino Decaro con due donne, parenti di un boss, pubblicata su alcuni giornali nazionali accostata al termine 'mafia' ma estranee completamente a quel contesto. C’è sempre questo problema del cosiddetto ‘reato di parentela’.

Dobbiamo tenere presente che questi sono i criteri che vengono adottati nell’esercizio dei poteri prefettizi. Potremmo fare decine, se non centinaia di esempi di imprese che sono state colpite da interdittive antimafia solo perché tra casomai trecento dipendenti c’era la nipote di un boss. Quindi questo che lei chiama giustamente ‘reato di parentela’, che correttamente appare arbitrario e inaccettabile, non sorge però adesso. Anzi rappresenta uno dei criteri fondativi dell’esercizio dei poteri prefettizi micidiale come quello delle interdittive antimafia.

Volendo dare un parere tecnico sulla norma sullo scioglimento dei Comuni ma anche sulle misure di prevenzione cosa ci sarebbe da dire?

Per quanto concerne le misure di prevenzione in generale – ma ciò non potrebbe non avere anche ricadute sulle interdittive antimafia – c’è una interlocuzione molto importante con la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha chiesto dei chiarimenti a partire dal caso Cavallotti. E le risposte del Governo sono tutte difensive degli attuali assetti. Mentre sul potere di scioglimento dei Comuni la necessità di intervenire proviene anche dall’applicazione concreta di questi fatti. Come lei sa Tar e Consiglio di Stato sono le autorità giudiziarie chiamate a verificare la legittimità dei provvedimenti di scioglimento dei Comuni i cui annullamenti, dati alla mano, sono quasi eccezionali. Ma non solo, c’è una giurisprudenza del Consiglio di Stato per cui non è neanche indispensabile che vengano individuati singoli atti di gestione di favore per una cosca mafiosa ma anche solo – cito testualmente la sentenza di un Consiglio di 2017, la 5278 - «è sufficiente per sciogliere un Comune accertare l’incapacità del Consiglio nel contrastare l’infiltrazione, a prescindere da concreti atti di favore». Il materiale su cui intervenire sarebbe enorme. Il garantismo nostrano di fronte alle parole d’ordine dell’antimafia si scioglie come neve al sole, tutti hanno paura di essere marchiati con la stella gialla perlomeno dell’indifferenza e della contiguità alla cultura mafiosa.