Il ricorso al referendum su temi delicati e anche divisivi è un bene per la democrazia. Francesco Saverio Marini, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’Università “Tor Vergata” di Roma, è interpellato dal Dubbio poche ore prima che la Consulta emetta il primo verdetto e dichiari inammissibile il quesito sull’eutanasia. Esprime un moderato ottimismo sull’orientamento generale della Corte, e definisce appunto «lo strumento della democrazia diretta» capace di colmare le «debolezze del sistema rappresentativo. Non trovo nulla di patologico nel ricorso al referendum».

Professor Marini, cosa è ragionevole attendersi dalle valutazioni della Consulta? 

Prevedere l’esito è molto difficile. Molti quesiti referendari sono abbastanza complessi. Per esempio, la proposta sulla separazione delle carriere dei magistrati sulla base della distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti interviene su una pluralità di norme. Andrebbe studiato se vi sono delle altre norme che non state ricomprese, perché questo renderebbe inammissibile il quesito.

Alcuni quesiti più di altri sono a rischio di inammissibilità? 

A leggere tutti i requisiti non vedo profili di evidente inammissibilità.

L’esame dei quesiti referendari è il primo importante impegno di Giuliano Amato, da poco presidente della Corte Costituzionale. 

Il presidente della Consulta ha rilasciato delle dichiarazioni del tutto condivisibili. La valutazione di ammissibilità da parte della Corte costituzionale deve cercare di far salva l’espressione del voto popolare. Amato ha richiamato l’attenzione sul fatto che la Corte non deve cercare scuse per evitare di consentire l’espressione del voto popolare. È una considerazione chiaramente condivisibile, posto che, comunque, nella giurisprudenza costituzionale, questo tendenzialmente non è accaduto.

Ci sono, secondo lei, dei quesiti che meritano un dibattito in grado di andare oltre i referendum?

In verità siamo di fronte a quesiti tutti molto interessanti. Quelli sulla giustizia sono particolarmente significativi. Il referendum sulla cannabis è molto controverso e sentito a livello sociale, così come si può certamente dire che il quesito sull’eutanasia ha aperto un dibattito molto ampio. Ci sono recenti sentenze della Corte costituzionale che sono intervenute per consentire, in alcune situazioni particolari, forme di eutanasia. Poi, sulla base delle sentenze della Consulta, è intervenuto il legislatore. Il referendum proposto in materia ha puntato ad ampliare ulteriormente le maglie della legge.

E i quesiti sulla giustizia?

Rispondono a un indirizzo abbastanza chiaro. Riguardante da un lato la separazione delle carriere, dall’altro l’obiettivo di combattere il correntismo e il carrierismo di una parte della magistratura. Tutto ciò con vari mezzi: l’introduzione di forme di responsabilità diretta dei magistrati e la previsione della valutazione dei giudici anche da parte degli avvocati. Si vuole intervenire per limitare il potere della magistratura sulla politica. Inoltre, va detto che il quesito sulla riforma del Csm si interseca con le recenti decisioni prese qualche giorno fa dal Consiglio dei ministri sulla riforma, adesso oggetto di discussione in Parlamento. Potrebbe essere approvato un disegno di legge ancora prima che si svolga il voto referendario e si potrà presentare la questione di un quesito referendario improcedibile o che verrà trasferito sulla nuova legge. Siamo di fronte a una materia in divenire. La proposta referendaria va nella giusta direzione, anche se da sola non risolve ovviamente i problemi del correntismo e della composizione del Csm, che richiedono un serio e articolato intervento legislativo.

I quesiti su cannabis ed eutanasia dimostrano che certi temi possono essere affrontati senza barriere ideologiche?

Gli argomenti collegati ai quesiti sono molto controversi e ci sono approcci condizionati anche dall’appartenenza religiosa. Sono quesiti che possono creare una spaccatura. Ma non scandalizziamoci. In democrazia è anche fisiologico che su temi centrali, come quelli dell’eutanasia e delle droghe, ci siano approcci differenti. Il fatto che il popolo si possa esprimere su questi temi non può essere considerato negativo. Ritengo che la modifica fatta per favorire i quesiti referendari, mi riferisco alla possibilità di raccolta delle firme attraverso la firma digitale, è salutare per la democrazia. Si riavvicinano gli elettori a temi centrali, seppur discutibili e problematici. Si riavvicina il Paese alla politica. I quesiti referendari di cui discutiamo non nascono in contrapposizione alla politica. Alcune volte sono stati presentati dei quesiti per mettere in difficoltà i governi in carica. In questo caso no. Sono proposte di consultazione salutari per la democrazia.

Qualcuno, però, potrebbe rilevare che c’è stato bisogno del referendum quando poteva intervenire il Parlamento. Cosa ne pensa?

Sui temi politicamente sensibili, come quelli sulla giustizia, il legislatore di solito incontra delle difficoltà. Questo accade non solo in Italia. Si tratta di temi per i quali è più difficile raggiungere una sintesi a livello parlamentare. Trovare un indirizzo attraverso lo strumento della democrazia diretta può essere una cosa positiva. La democrazia diretta colma proprio certe debolezze del sistema rappresentativo. Non trovo, per questo, nulla di patologico nel ricorso al referendum