«La libertà di espressione è insopprimibile anche per i magistrati, ma se le loro critiche si trasformano in protesta, chiamata alle armi, lutto al braccio, o scioperi, non le ritengo legittime», afferma il professor Pieremilio Sammarco, ordinario di diritto comparato all'Università di Bergamo.

Professor Sammarco, lei è stato sempre un attento osservatore delle vicende della magistratura e delle questioni sulla giustizia, che cosa ne pensa della posizione della mobilitazione dell’Associazione nazionale magistrati contro la riforma della separazione delle carriere fra pm e giudici voluta dal governo Meloni?

Prima di entrare nel merito, vorrei fare una premessa: la magistratura è una istituzione che svolge una funzione essenziale per la collettività e lo scontro con il governo e il Parlamento indebolisce l’intero ordine costituzionale.

Ci spieghi meglio.

I magistrati non sono pubblici dipendenti come tutti gli altri, non possono interferire con l’attività del Parlamento chiamato ad approvare le leggi che poi loro devono applicare, o a cui devono conformarsi. Certo, anche i magistrati sono soggetti alle leggi. Mi sembra una considerazione scontata. Così come leggiamo nelle aule dei tribunali che la giustizia è amministrata in nome del popolo, è lo stesso popolo che attraverso i suoi rappresentanti promulga le leggi. Dunque ogni riforma è frutto della volontà popolare che attraverso il corpo politico da essa eletto deve essere da tutti accettata.

Come giudica allora le svariate forme di protesta annunciate dall’Anm e dai suoi vari gruppi associativi?

Lo strapparsi le vesti - o meglio la toga - in segno di protesta è a mio avviso del tutto inopportuno, così come l’astensione o lo sciopero. Prenderei in prestito le parole del giurista Arturo Carlo Jemolo che desiderava “se ne dismetta per sempre l’idea, che esca fuori dal novero delle cose possibili, dei mezzi cui si pensi a ricorrere”.

Dunque, per lei è intollerabile per i magistrati protestare? E che diano vita a Comitati per il “No' alla riforma costituzionale?

Critico ogni forma di dissenso che spezzi la necessaria continuità giurisdizionale perché inciderebbe profondamente sui diritti di tutti coloro che chiedono giustizia, oltre a contribuire a danneggiare l’economia e l’immagine del paese. Mi ispirerei piuttosto al modello francese, dove per legge sono vietate tutte le manifestazioni di dissenso ai provvedimenti legislativi e alle misure del governo che vengono considerate incompatibili con le funzioni del magistrato. Vi è quindi il divieto di sciopero e di critica per ragioni di tipo politico nei confronti di leggi adottate dal potere legislativo, mentre sono da considerarsi pienamente legittime le astensioni di tipo sindacale per ragioni economiche e organizzative, quali, ad esempio, la carenza di organico, le rivendicazioni salariali e per il malfunzionamento generale dell’organizzazione degli uffici giudiziari.

E che opinione ha riguardo alla presenza di esponenti di partiti politici dell’opposizione, contrari alla riforma, alle manifestazioni pubbliche organizzate dalle varie correnti della magistratura associata?

Reputo tali presenze del tutto inopportune per la magistratura associata perché vi è il concreto rischio che l’opinione pubblica percepisca i giudici intrinsecamente legati alla politica e che possano svolgere per essa il ruolo di ruota di scorta, o talvolta il vero e proprio motore. Inoltre, in questi casi, il già labile confine tra la critica e la propaganda politica verrebbe definitivamente meno.

La contiguità tra magistratura e politica riporta degli esempi eclatanti.

Vi sono stati e vi sono tuttora dei casi di magistrati che, oltre a non celare il loro orientamento politico, partecipano alla vita politica, dimenticando il dettato costituzionale. Tutto questo dovrebbe essere maggiormente sanzionato dal Csm, proprio a tutela dell’indipendenza dell’ordine giudiziario.

Sembra un legame inestricabile. Sbaglio?

Non voglio ripetere ancora che terzietà e imparzialità del giudice siano assicurate sotto il profilo dell’apparenza, né arrivare come diceva Piero Calamandrei al punto che il giudice dovrebbe consumare i suoi pasti in assoluta solitudine, ma ci sono dei limiti e confini che devono rimanere tali. Se pensiamo ai giudici che vanno alle manifestazioni di protesta organizzate da partiti politici, partecipano ai comizi, criticano il governo o i suoi ministri, sono esempi da sanzionare. Se poi consideriamo quello che accade all’interno dei social media, dove la partecipazione dei magistrati è attiva, penso che abbiamo superato il segno.

Già, il mondo dei social media è esploso e ha contagiato anche i magistrati.

Sì e abbiamo già visto esempi sconcertanti: insulti e offese da parte di giudici verso esponenti politici, colleghi; adesioni virtuali a proteste in atto, pubblicazione di fotografie di propaganda politica e commenti inappropriati. Invoco una maggiore cautela e auspico il divieto di utilizzo dei social media da parte dei magistrati a cui dovrebbe essere consentito solo la pubblicazione di informazioni estranee alla politica (italiana e internazionale) e all’attività giurisdizionale che svolgono.

Ci aspetta allora una stagione di partecipazione attiva da parte della magistratura in vista della prossima campagna referendaria.

Sarà un banco di prova per l’attuale Consiglio superiore della magistratura: vedremo se la Sezione disciplinare avrà il coraggio di sanzionare le condotte inappropriate che saranno attuate. In passato non si è vista una mano decisa. E forse proprio questo storico permissivismo farà sì che l’opinione pubblica si convincerà maggiormente della necessità della riforma.

È favorevole alla riforma che prevede due distinti Csm oltre alla creazione di una alta Corte disciplinare esterna ai due futuri organi di autogoverno?

Nel merito della riforma si sarebbero tante cose da dire. Mi limito solamente ad affermare che l'attuale impianto ha mostrato tutti i suoi limiti ed un cambiamento era necessario.