La guerra tra Israele e Iran disegnerà nuovi scenari nel Medio Oriente. Sono tanti gli attori che osservano con attenzione l’evolversi della situazione e che pianificano le mosse da fare eventualmente. «Israele è determinato e andrà fino in fondo», dice Claudio Bertolotti, direttore di Start In- Sight, ricercatore Ispi e autore del libro “Gaza underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas”. «La volontà – aggiunge Bertolotti - o meglio la sempre più confermata volontà da parte di Israele, in questo caso del governo Netanyahu, è quella di perseguire un obiettivo molto chiaro: indebolire sempre di più l’Iran, affinché l’ «Asse della resistenza» venga meno».

Direttore Bertolotti, stiamo assistendo ad un regolamento di conti solo tra Israele e Iran o è possibile il coinvolgimento di altri Stati?

In questo momento il coinvolgimento diretto di Stati terzi è improbabile. Nessuno vuole inserirsi all'interno di quella che può essere definita una “escalation orizzontale”. Va però aggiunto che altri attori non statali, supportati dall’Iran, continueranno a dare il loro contributo, sebbene siano stati indeboliti molto nel corso del tempo dalle azioni preventive israeliane. Il riferimento è prima di tutto ad Hezbollah. Il “Partito di Dio” è stato ridotto di oltre il 50% per quanto riguarda le sue capacità di leadership politica e militare. Hamas ha perso oltre l’ 80% della sua capacità militare e politica. Analogo discorso vale per “Ansar Allah” nello Yemen. Tutti questi attori non statali possono considerarsi sempre coinvolti, sebbene il cosiddetto “Asse della resistenza” che li comprende si sia dimostrato non soltanto molto debole, ma sostanzialmente inefficace.

L’attacco di Israele ha decretato la fine una volta per tutte del pericolo militare iraniano?

Temo ancora di no. Certo, dal punto di vista della capacità tecnica e tecnologica l’Iran è molto indietro, non può distruggere Israele. È riuscito a compensare la sua arretratezza tecnologica con un utilizzo massiccio del sistema missilistico. L’Iran lancia missili che non sono precisi, ma che hanno la capacità di provocare danni come abbiamo potuto constatare in questi giorni. Danni in parte materiali con la possibilità di fare pressione psicologica su Israele e far percepire alla popolazione israeliana di essere in pericolo. E questo porta con sé un'altra conseguenza.

Quale?

La volontà o meglio la sempre più confermata volontà da parte di Israele, in questo caso del governo Netanyahu, di perseguire un obiettivo chiaro: indebolire sempre di più l’Iran, affinché l’ «Asse della resistenza» venga meno. Con l’isolamento di Teheran verrebbe inoltre perseguito un altro obiettivo, quello di un “regime change” cioè un cambio della gestione politica dell’Iran.

Se ciò avvenisse, con i vertici militari decapitati o quasi decapitati, si potrebbe aprire una nuova fase all’interno del Paese?

In questo momento credo ancora di no. La leadership è ancora abbastanza forte da riuscire a rigenerarsi sia da un punto di vista militare sia da un punto di vista politico. Nel contesto attuale il ruolo dei pasdaran è essenziale. Penso che la spinta che proviene dal basso, da parte della società civile, non sia al momento sufficientemente forte. L’obiettivo di Israele è indebolire la Repubblica islamica e nel medio- lungo periodo arrivare al “regime change” con la spinta dal basso alla quale facevo riferimento poco fa.

Trump ha fatto il nome di Putin come possibile mediatore nelle trattative tra Israele ed Iran. Il capo del Cremlino sarebbe credibile in questo ruolo?

Penso che l’affermazione di Donald Trump sia un tentativo di coinvolgere Putin e di renderlo più malleabile, non tanto dandogli un ruolo di mediatore, quanto creando un terreno fertile per un negoziato nella guerra tra Russia e Ucraina. I dossier aperti alla Casa Bianca sono molti. Putin sulla questione Iran può giocare un ruolo importante, ma non credo di mediatore completamente neutrale, sebbene i rapporti siano relativamente buoni con Israele. Mi riferisco al numero elevato di russi con doppia cittadinanza russo- israeliana. I rapporti economico- commerciali con l’Iran sono fondamentali. Teheran fornisce una buona parte degli equipaggiamenti militari, in particolar modo i droni Shaed, che la Russia utilizza nella guerra contro l’Ucraina. Non credo quindi che Putin possa giocare un ruolo chiave, almeno formalmente, a un tavolo negoziale.

Un accordo sul nucleare è ancora possibile?

Penso di sì. L’Iran potrebbe essere spinto verso una soluzione negoziale, se la guerra dovesse andare avanti. Più la pressione militare si farà maggiore, più l’Iran sarebbe incapace di gestire l’offensiva e potrebbe essere indotto a più miti consigli in relazione all’accordo sul nucleare.

Il New York Times parla, a proposito della crisi in corso, di una «diplomazia danneggiata ma non naufragata». Paradossalmente dopo la guerra tra Israele e Iran si potrebbe aprire una fase di stabilità?

Sicuramente ci troveremo di fronte a un Medio Oriente molto diverso da quello che osserviamo oggi. Già molto è cambiato. La caduta del regime di Bashar Assad in Siria è una conseguenza della guerra tra Israele e Hamas, avviata dall’Iran con un sostegno fornito per realizzare gli attacchi del 7 ottobre 2023. In tutto questo non dobbiamo dimenticare che il Medio Oriente ha già subito dei cambiamenti per quanto riguarda gli equilibri interni. Hezbollah è molto più debole e rischia di essere eliminato o limitato dagli stessi libanesi; Hamas sta subendo duri colpi e rischia di non avere più il consenso esteso del popolo palestinese che si riconosceva in questa organizzazione. Rimangono gli Houti nello Yemen, ma anche loro stanno subendo la violenta reazione da parte israeliana e statunitense. In quest’area, con l’Iran fortemente indebolito, subentrerà con buona probabilità l’Arabia Saudita, rafforzata da un solido rapporto da un lato con gli Stati Uniti e dall’altro con Israele attraverso il processo di normalizzazione degli «Accordi di Abramo».