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CLAUDIO BERTOLOTTI POLITICO
L’occupazione militare di Gaza da parte di Israele è una delle ultime carte che intende giocarsi Benjamin Netanyahu. Si tratta però di una opzione molto pericolosa che potrebbe far impantanare l’Idf, senza trascurare il rischio di non riuscire a liberare tutti gli ostaggi del 7 ottobre 2023. «La capacità israeliana – dice al Dubbio Claudio Bertolotti, direttore di Start In- Sight e ricercatore Ispi - dovrà basarsi sulla gestione dell’operazione che eventualmente verrà avviata in maniera efficiente e con il minor impatto possibile per i propri soldati. Va in questa direzione l’idea di suddividere il territorio palestinese in corridoi militari controllati». Bertolotti è autore del libro “Gaza underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas”.
Dottor Bertolotti, il definitivo ampliamento delle operazioni militari su tutta la Striscia di Gaza può rappresentare un pericolo per l’esercito israeliano?
Sicuramente sì. La minaccia alla quale l’esercito israeliano dovrà esporsi è concreta, perché la guerra urbana è peggiore di altri scenari all’interno dei quali un esercito moderno può trovarsi impegnato. Il territorio urbano della Striscia di Gaza è, forse, a livello globale, quello con la più alta concentrazione di popolazione. I pericoli provengono dalle strade e dagli edifici, ma anche dalla dimensione sotterranea, dove Hamas ha investito nel corso degli anni ingenti finanziamenti esteri per la costruzione di una vera e propria infrastruttura militare. Pertanto, l’impiego di forze armate israeliane all’interno di questa area è oneroso sotto tanti punti di vista. Per agire in sicurezza i soldati dovranno procedere molto lentamente e con unità altamente specializzate. Ciò vuol dire, oltre alla maggiore esposizione, maggior tempo e maggiori costi.
La guerra urbana, alla quale ha appena fatto riferimento, è l’incubo di tutti i generali?
Proprio così. Si tratta dello scenario peggiore, ma è uno scenario inevitabile se la scelta fatta è quella di avviare un’operazione militare che ha come scopo l’occupazione totale della Striscia di Gaza. Il rischio potenziale è certamente elevato, per cui le resistenze che si registrano in Israele sono legittime e condivisibili. Va aggiunto che il dovere e il compito di uno strumento militare è quello di perseguire gli obiettivi politici. Quindi, se Netanyahu ha deciso, da questo scenario non si può uscire. La capacità israeliana dovrà basarsi sulla gestione dell’operazione che eventualmente verrà avviata in maniera efficiente e con il minor impatto possibile per i propri soldati. Va in questa direzione l’idea di suddividere il territorio palestinese in corridoi militari controllati. È una mossa preventiva per poter creare delle zone compartimentate all’interno delle quali operare e dalle quali impedire il transito e il collegamento delle unità nemiche di Hamas da una zona all’altra.
Con l’occupazione di Gaza l’esercito israeliano può rimanere impantanato, come avvenuto per altre forze militari in altri Paesi?
Non escludo uno scenario molto simile a quello afgano. Nel lungo periodo potremmo assistere ad una guerra urbana contro un nemico, che, seppur nascosto nella popolazione, comunque è definito ed è quantitativamente misurabile. L’ipotesi peggiore potrebbe essere una guerra insurrezionale, di popolo, nel momento in cui una parte ampia dei palestinesi deciderà di prendere le armi e opporsi alla presenza israeliana. L’Idf in questo caso dovrebbe moltiplicare gli sforzi in termini di presenza militare e risorse economiche da investire, senza dimenticare le pressioni politiche interne che andrebbero gestite.
L’obiettivo principale, salvare tutti gli ostaggi, potrà essere raggiunto dall’Idf in questo contesto pieno di incognite?
Questa credo che sia la vexata questio. Se gli obiettivi militari sono la sconfitta di Hamas e la liberazione degli ostaggi israeliani, temo che un obiettivo non sia perfettamente compatibile con l’altro. Hamas ha ancora una capacità militare, seppur ridotta. Gli ostaggi potrebbero essere uccisi prima di essere liberati dall’esercito israeliano e penso che Hamas abbia messo in conto questa opzione. Sull’altro fronte, credo che Israele abbia investito moltissimo in termini di intelligence per individuare i possibili luoghi di detenzione degli ostaggi e per poter agire in via preventiva o quantomeno tempestiva. Questo, però, non eviterà il rischio di perdere i prigionieri israeliani nelle mani di Hamas come forma di ritorsione.
Hamas potrà usare ancora gli ostaggi israeliani come arma negoziale o a questo punto del conflitto vorrà disfarsene velocemente?
Gli ostaggi, secondo me, continuano a mantenere un ruolo chiave nel processo negoziale. Ad ognuno di loro Hamas attribuisce un valore potenziale immenso, sia in termini di capacità di coercizione, cioè obbligare il governo israeliano a fare una scelta che altrimenti non farebbe, sia in termini quantitativi, cioè un prigioniero contro centinaia di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Il numero elevato di palestinesi arrestati da Israele, per connessioni con Hamas, negli ultimi due anni rientra anche in questa politica.
Netanyahu, considerate pure le frizioni con il capo di Stato maggiore in merito al piano di occupazione di Gaza, ha perso il contatto con la realtà?
Non credo. Penso che Benjamin Netanyahu abbia un disegno ben chiaro e un obiettivo da perseguire entro la conclusione del suo mandato. Il premier israeliano è consapevole che non avrà una seconda possibilità per risolvere la questione Hamas sulla Striscia di Gaza. Per questo si assumerà tutte le responsabilità delle proprie azioni. Non ci sarà un futuro politico per Netanyahu, in quanto sarà per qualcuno un eroe e per qualcun altro un reietto che potrebbe scegliere la via di un esilio dorato. Sarà comunque l’uomo che porrà fine a questa guerra, nel bene o nel male.