Marcello Pera, il veterano ormai degli intellettuali a suo tempo arruolati da Silvio Berlusconi nel centrodestra, e salito più in alto di tutti arrivando con la Presidenza del Senato alla seconda carica dello Stato, fra il 2001 e il 2006, dev’essersi stancato di spingere inutilmente Matteo Salvini sulla strada di un’evoluzione europeistica e atlantica, percorsa invece più nitidamente nella Lega da Giancarlo Giorgetti. La stanchezza si avverte nella decisione di sponsorizzare praticamente con la sua partecipazione la conferenza programmatica del partito di Giorgia Meloni apertasi a Milano, dopo avere accettato inviti ad altri eventi dei Fratelli d’Italia.

Nella bella intervista, al suo solito, rilasciata per Il Dubbio a Giacomo Puletti l’ex presidente del Senato ha apprezzato e accreditato la posizione politica di Giorgia Meloni, appunto, nel momento in cui l’ex ministra è vista e vissuta con sospetto nel centrodestra per avere superato tutti elettoralmente, anche il Pd fuori della combinazione berlusconiana, continuiamo a chiamarla così per essere stata fondata dal Cavaliere di Arcore sulle ceneri giudiziarie e politiche della cosiddetta prima Repubblica. Il sorpasso elettorale nel centrodestra ha messo praticamente in gara la Meloni per la guida del governo dopo che Berlusconi aveva accettato, in vista delle elezioni del 2018, il principio che la candidatura a Palazzo Chigi spetta al partito più votato.

Ora per aggirare quella concessione, preferita al ricorso, suggerito invece da altri, alle primarie adottate nello schieramento opposto comunemente chiamato centrosinistra, Berlusconi e Salvini sono tentati da una federazione, che sorpasserebbe la Meloni. E risparmierebbe al centrodestra la trasformazione, indesiderata da Forza Italia e dalla Lega, di destra- centro o «destra- destra», come l’ha chiamata Pera nella sua intervista precisando di non condividere per niente una simile evenienza.

Piuttosto - ha sostenuto praticamente l’ex presidente del Senato - tutto il centrodestra, profittando proprio della strada imboccata dalla Meloni a livello anche internazionale, con le sue scelte a cominciare dal Parlamento europeo, dovrebbe decidersi ad assumere la fisionomia e forse anche il nome di partito conservatore. Che a Pera non dispiace affatto, pur essendo lui di provenienza socialista, ma sapendo di vivere in un contesto assai cambiato rispetto a quella sua vecchia simpatia.

D’altronde, buona parte dell’elettorato ma anche della rappresentanza parlamentare e dirigenziale di quello che fu il Psi di Bettino Craxi si trasferì subito nel 1994 e anni successivi in Forza Italia, e anche nell’allora Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini: per esempio, in quest’ultimo caso, il compianto e mio carissimo amico Massimo Pini. Che aveva rappresentato il partito di Craxi nella Rai e all’Iri.

Pera ha parlato nella sua intervista di un «nuovo conservatorismo». Che renderebbe il centrodestra italiano simile ai Tory britannici e al Partito Repubblicano americano, dove per fortuna - vorrei aggiungere - è passato il ciclone di Donald Trump e della sua sostanziale politica isolazionistica praticata col motto degli Stati Uniti prima di tutti e di tutto.

Abituato da filosofo a ragionare con la testa e non con i piedi, come spesso accade invece ai politici improvvisati, fra i quali a suo modo eccelle, a mio avviso, il Giuseppe Conte assurto alla presidenza del Movimento 5 Stelle, Pera ha ricordato all'amico Berlusconi che le sue posizioni in politica estera e spesso anche interna sono vicine a quelle più della Meloni che di Salvini, col quale invece l’ex presidente del Consiglio mostra di sentirsi più in sintonia, specie da quando è capitato ad entrambi di partecipare al governo di Mario Draghi. Alla cui costituzione invece la Meloni si oppose, salvo poi avere con Draghi in persona, specie ultimamente con i problemi creati dalla guerra in Ucraina, rapporti migliori di Salvini. Ma non solo con Draghi, essendosi la giovane leader dei fratelli d’Italia abituata a confrontarsi bene anche con Enrico Letta.