«Siamo magistrati in pensione, civilisti e penalisti, giudici e pubblici ministeri, che sentono il bisogno di intervenire contro l’annunciata riforma della separazione delle carriere»: questo l’incipit di una lettera-appello rivolta al ministro della Giustizia Carlo Nordio da parte di suoi ex colleghi in pensione – tra i quali Giovanni Salvi, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Armando Spataro – che a tre settimane dall’inizio delle audizioni sul tema a Montecitorio sono scesi in campo per “fare ostruzionismo” fuori dal Parlamento. A loro replica Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere penali.

Che ne pensa di questa iniziativa?

Con tutto il massimo rispetto per le circa 350 autorevoli firme che hanno sottoscritto l’appello, sono depositate in commissione Affari costituzionali alla Camera oltre 75mila mila sottoscrizioni di cittadini italiani favorevoli alla nostra proposta di riforma costituzionale della separazione delle carriere. Osservo poi che la maggior parte dei magistrati che si sono rivolti a Nordio sono ex pubblici ministeri.

Era quasi scontato.

E dovrebbe farci capire tutto: quello della separazione delle carriere è un tema che non la magistratura nella sua interezza ma quella requirente rifiuta. Occorrerebbe interrogarsi sulla ragione.

E qual è?

Il sistema a carriera unica consente un condizionamento da parte degli Uffici di Procura rispetto alla fase del giudizio straordinariamente più forte di come sarebbe se ci fossero carriere separate. Vorrei fare una terza considerazione.

Prego.

Questo appello al momento è quasi inutile perché il percorso di riforma è paralizzato. Era iniziato nel migliore dei modi con la scelta di alcuni gruppi di maggioranza e del Terzo polo di fare propria la nostra proposta, e di depositarla in commissione Affari costituzionali. Dopo di che c’è stato l’annuncio molto generico, da parte dell’Esecutivo, della volontà di inserire nel cronoprogramma sulla giustizia una iniziativa governativa in materia di separazione delle carriere. Che bisogno c’è di questo, se è già pronto il percorso parlamentare?

Che risposta si dà?

Dobbiamo immaginare che si abbia in testa un’idea di separazione delle carriere diversa dal testo sottoscritto da Forza Italia, Lega, Azione e Italia Viva.

A ciò si deve aggiungere che tra i parlamentari c’è malumore per il fatto che loro conducono istruttorie nelle commissioni su alcuni temi, ad esempio sulla prescrizione, e poi arriva l’iniziativa governativa sulla stessa materia. Il deputato Pittalis (FI) ci ha detto che occorre un miglior dialogo tra Esecutivo e Legislativo e maggior rispetto per i lavori delle commissioni parlamentari.

Più che mai se parliamo di una riforma costituzionale. Se è vero che a settembre ci saranno le audizioni sulla separazione delle carriere, non dobbiamo nascondere il fatto che quell’annuncio del governo ha paralizzato per mesi il percorso parlamentare. E non sappiamo cosa accadrà. Una cosa è discutere in commissione, altra è portare un testo in Aula. Stiamo assistendo a qualcosa di preoccupante: Nordio ha detto che adesso le priorità sono altre. Ma proprio perché la separazione delle carriere necessita di un lungo iter parlamentare si sarebbe dovuto iniziare da subito a discuterne nelle sedi competenti. Io ho un timore.

Che timore?

Che l’appello degli ex magistrati si coniughi con una scelta di fatto del governo o di rallentare il percorso o addirittura di scrivere una riforma diversa.

Una scelta coltivata a via Arenula?

Questo è un altro punto fondamentale. Nessuno sa chi starebbe lavorando a questo fantomatico testo governativo. Non ci risultano accademici coinvolti, né noi siamo stati interpellati. Rimangono i magistrati fuori ruolo del Legislativo e del Gabinetto del ministero. Possiamo mai accettare una eventualità del genere, ossia che siano loro a scrivere la riforma della separazione delle carriere?

A inizio anno Nordio ha posticipato l’entrata in vigore della riforma Cartabia per accogliere letteralmente “il grido di dolore delle Procure”. Poco tempo fa la magistratura antimafia si è lamentata di una sentenza della Cassazione sulla criminalità organizzata e il governo, con l’avallo del guardasigilli, ha varato un decreto d’urgenza per rimediarvi. In un quadro simile davvero si può pensare che Nordio abbia il coraggio di fare la separazione delle carriere?

La sua è una buona domanda, ma essendo retorica contiene già la risposta. Ed è la nostra grande preoccupazione. Al di là delle schermaglie irrilevanti, ad esempio sul concorso esterno, sugli atti di governo cruciali abbiamo visto un governo pronto appunrto ad accogliere, come ha detto il ministro, “il grido di dolore dei pm”. Mi auguro che adesso non siano pronti ad accogliere il grido di dolore anche delle Procure in pensione. Auspico invece che si accolga quello delle migliaia, anzi dei milioni di cittadini, che in questi trent'anni, anche attraverso i referendum, i favorevoli erano il 90 per cento benché non si sia raggiunto il quorum, hanno di fatto chiesto la separazione delle carriere. Noi sappiamo che questo tema è uno dei pochi di giustizia liberale davvero popolare. Ed è per questo motivo che è temuto.

Come replica a chi dice che, con la separazione e i due Csm, i pm avrebbero ancora più potere?

Bisogna smetterla di prendere in giro le persone. Questo non è un argomento serio. Chi ci garantisce dal pubblico ministero è il giudice. Il pm può essere anche un poliziotto allo stato puro, un appartenente ad uno squadrone della morte, cosa che comunque non avverrebbe, ma non potrebbe fare nulla perché se il giudice non è d’accordo non può arrestare, non può sequestrare, non può adottare misure di prevenzione patrimoniale.

L’Ucpi all’inizio ha investito molte speranze in Nordio. Adesso i vostri toni sono cambiati. Vi sta deludendo?

Non possiamo e non intendiamo nascondere tutta la nostra delusione. Noi abbiamo salutato l’elezione di Nordio con entusiasmo. Abbiamo addirittura ritenuto di orientare una nostra astensione in difesa del ministro perché abbiamo capito che le idee liberali sono minoritarie in questo governo. Adesso però stiamo raccogliendo uno schiaffo dietro l’altro: non c’è un solo provvedimento adottato di senso liberale. Siamo sempre pronti a ricrederci e ad essere di nuovo a fianco al guardasigilli, ma per concludere dico: un ministro liberale fa il ministro e accetta di farlo se ti fanno fare le riforme liberali. Può in nome della ragionevolezza scendere a qualche compromesso, ma se non realizza riforme liberali o le pretende o si dimette.