«Si potrebbero creare nuovi equilibri: anche sulla giustizia, certo. Ma in positivo, spero. Spero che il contributo della nuova formazione di Renzi consista nel dare una mano al Pd in modo da conseguire, nella dialettica con i 5 Stelle, il miglior risultato possibile. Spero cioè che il nuovo gruppo non finisca, al contrario, per favorire spaccature».

Il deputato e avvocato Alfredo Bazoli ha le idee chiare. Su cosa potrebbe essere del dossier giustizia con la scissione dei renziani e anche su cosa farà lui: è stato vicino all’ex premier ma non intende seguirlo lontano da casa. Resterà capogruppo dem nella commissione Giustizia di Montecitorio. Che anche per gli scenari accennati da Bazoli, sarà uno dei luoghi più “caldi” ( ma non necessariamente più confortevoli) nel nuovo quadro politico.

Ma insomma, i renziani finiranno per pungolare più voi che il Movimento 5 Stelle, sulla giustizia?

No. Sono convinto che le loro posizioni non saranno diverse dalle nostre. Rivendico l’identità che, in materia di giustizia, il Pd ha saputo costruire e che è basata su posizioni molto garantiste. Da qui noi non ci spostiamo. È chiaro, lo ha detto anche il segretario Zingaretti, che sul punto l’interlocuzione con il Movimento 5 Stelle è molto complicata.

Alcuni dem dicono che sarà terreno di scontro.

Sarà uno degli ambiti nei quali occorrerà fare i maggiori passi avanti.

E i renziani vi daranno una mano?

Numericamente cosa cambia? Nulla. La loro posizione sulla giustizia è analoga alla nostra. Al limite cercheranno di esprimere qualche sottolineatura su punti specifici. Ma mi chiedo: siamo o non siamo al governo per fare le cose? Se sì, anche la nuova formazione dovrà trovare dei punti di sintesi. Mi auguro, e credo, che ci siano di aiuto e che non portino una spaccatura.

Ma in generale vi preoccupa l’idea che il gruppo di Renzi diventi un fattore di instabilità?

Quando c’è una scissione è legittimo essere preoccupati. Loro assicurano che non produrranno fibrillazioni aggiuntive. È chiaro però che cercheranno di marcare la loro identità, con qualche piede puntato in più. Il rischio c’è e può coinvolgere diversi settori. Giustizia compresa.

Lei ha detto al Foglio che l’entrata in vigore della nuova prescrizione andrebbe differita: se non si trovasse l’accordo su questo, qual è l’ipotesi? Rimediare con qualche modifica parziale, quale sarebbe la limitazione dello stop alle sole sentenze di condanna?

Mi pare una soluzione abborracciata. Migliore rispetto allo status quo, per carità, ma poco meditata. Meglio rinviare l’entrata in vigore della prescrizione, che va inserita nella più complessiva revisione del processo penale. Opera, quest’ultima, che richiede tempo. Se non si troverà un’intesa del genere, valuteremo soluzioni intermedie. In ogni caso non mi pare che quella ipotizzata nella sua domanda sia sul tavolo.

E invece sarete disponibili all’estensione del patteggiamento, accantonata per la contrarietà della Lega?

Riteniamo assolutamente utili e opportune tutte le misure che vanno nella direzione di potenziare i riti alternativi, incluso il patteggiamento. Il nostro modello processuale accusatorio dovrebbe ruotare proprio attorno a un uso dei riti alternativi assai più esteso di quanto sia oggi.

Ne sarà soddisfatta l’avvocatura, che ha segnalato come la rinuncia al patteggiamento allargato sia stata un colpo durissimo al significato stesso della riforma penale.

Mi auguro che l’intera riforma sia rivista alla luce del mutato contesto politico. Mi auguro si tenga conto che ora c’è al governo una forza assai diversa, e che in questa materia cambiano dunque le scelte e le priorità. Si troverà una nuova sintesi anche a partire dai riti alternativi. Ma credo sia necessario intervenire anche su altro.

Faccia esempi.

Prima di tutto sulla questione, altrettanto decisiva, delle misure alternative alla detenzione. La riforma penitenziaria è stata messa da parte fin dall’inizio della legislatura, soprattutto riguardo al capitolo sulle pene alternative, che sono invece un elemento centrale del sistema. Vanno potenziati gli uffici dell’esecuzione esterna, implementate le misure, innanzitutto le sanzioni di comunità. È il solo modo per modernizzare l’assetto penale, ma da un anno e mezzo lo si è del tutto escluso dall’orizzonte della riforma.

Rivedrete anche la preclusione delle misure alternative per i reati di corruzione?

Siamo stati sul punto di farlo poche settimane fa proprio in commissione Giustizia alla Camera. Poi ci si è fermati per divergenze sull’iter: inizialmente si era pensato che la commissione se ne dovesse occupare in sede legislativa, noi abbiamo chiesto di andare in aula e ci si è arenati lì. Ma credo che col nuovo governo la questione possa essere ripresa.

Ma vi limiterete a eliminare gli effetti retroattivi o c’è spazio per mettere in discussione lo stesso stop ai benefici?

Si è parlato degli effetti retroattivi. Si può intervenire sul resto solo con un’intesa politica, ancora tutta da costruire. Anche tenuto conto del fatto che diversi giudici hanno già rimesso quelle norme alla Consulta per sospetta incostituzionalità.

Nel decreto intercettazioni manca, oltre ad altre modifiche correttive, una norma che impedisca davvero l’ascolto delle conversazioni tra avvocato e assistito.

Sono avvocato anch’io, conosco i rilievi avanzati dal Cnf e da tutte le rappresentanze forensi e li trovo condivisibili uno per uno. È chiaro che il divieto di trascrivere le conversazioni, comunque captate, tra difensore e assistito non impedisce alla pubblica accusa di avvantaggiarsene, come indebita forma di disvelamento delle strategie difensive.

E in generale quel decreto che destino avrà?

Io credo che il testo sulle intercettazioni possa prestarsi anche a modifiche più strutturali, per venire incontro alle osservazioni mosse dall’Unione Camere penali come dalle Procure. Ma facciamolo e facciamo quindi entrare in vigore il decreto. Che è necessario al buon funzionamento della giustizia tanto quanto altre misure in cantiere. Si tratta di norme che, nel rispetto delle esigenze investigative, servono a tutelare la privacy, e che non possono restare sospese a continui rinvii.