A volte serve un “martire” per cambiare la storia del pensiero. E i grillini, con le dovute proporzioni, hanno avuto il primo “lapidato” che potrebbe far traballare le granitiche fondamenta giustizialiste su cui dieci anni fa è stato edificato il Movimento 5 Stelle.

Il caso di Marcello De Vito, presidente del consiglio capitolino arrestato il 20 marzo scorso con l’accusa di corruzione e poi scagionato dalla Cassazione - secondo cui fu incriminato «solo sulla base di congetture» - ha insinuato un atroce dubbio tra le file pentastellate: e se avessimo sbagliato a liquidare in fretta e furia De Vito dal M5S sulla base di indizi senza alcun fondamento?

A porsi pubblicamente la domanda è Sara Seccia, presidente vicaria dell’assemblea capitolina in attesa del quasi scontato ritorno del legittimo proprietario della poltrona rimasta vacante all’indomani dell’arresto.

«Questa esperienza», spiega al Messaggero, «mi ha insegnato che bisogna essere garantisti», dice Seccia, cancellando con un colpo di spugna l’intero paradigma grillino. Il “garantismo”, quasi una parolaccia in casa cinquestelle, diventa una necessità, «perché basta poco per finire in mezzo ai guai», argomenta Seccia, consapevole della scelta del capo politico di buttare fuori dal partito De Vito «in base ai principi che ci siamo dati». Tradotto: a cambiare, forse, dovrebbero essere i principi pentastellati, non le garanzie. Tanto da indurre De Vito a presentare un esposto contro il capo politico per violazioni dello statuto e del codice etico.

«Si è innocenti fino all’ultimo grado di giudizio e qui c’è una misura cautelare preventiva in dubbio», insiste la presidente vicaria, ormai decisa a portare fino in fondo il suo ragionamento.

Ma quella di Seccia, avvocata come Virginia Raggi e De Vito, non sembra essere una voce isolata tra i grillini romani. La stessa sindaca, durante la campagna elettorale del 2016, si lasciò sfuggire una dichiarazione poco ortodossa contro gli «avvisi di garanzia utilizzati come manganelli» che allarmò parecchio l’allora Staff dirigenziale del Movimento. Adesso, con Di Maio in difficoltà dopo la fine del governo giallo- verde, il “partito grillino degli avvocati” ne approfitta per inserirsi nel dibattito interno e gettare un nuovo seme per cambiare rotta.

«È la nostra filosofia ( espellere un iscritto, come De Vito, finito sotto osservazione della magistratura, ndr) ma bisogna ricordare che le accuse sono tutte da provare, non sappiamo nemmeno se va a processo», dice ancora Seccia. Ma un dato è certo: le tesi dei pm non possono più essere sposate in modo acritico. «Se c’è stato un errore nella misura cautelare è un fatto grave perché si è fatto 107 giorni di carcere, non sono pochi», conclude l’esponente grillina. Forse il “martirio” è servito a cambiare la storia pentastellata.