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Nel giorno del lutto nazionale, dopo la strage di Bondi Beach, durante la celebrazione della Hanukkah, l’Australia si interroga sulla violenza che ha colpito la comunità ebraica di Sydney. Israele ha subito colto l’occasione per lanciare un monito al mondo intero e per attaccare il governo australiano che avrebbe fomentato l’odio e l’antisemitismo con alcune decisioni politiche molto discutibili, a partire dal riconoscimento dello Stato della Palestina. Il bersaglio del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, è il suo omologo d’Australia, Anthony Albanese. Accuse mirate e consigli non richiesti hanno caratterizzato le dichiarazioni dei due primi ministri.
«Le politiche di Albanese – si è affrettato a dichiarare Netanyahu – incoraggiano l’odio per gli ebrei che ora infesta le strade australiane. L’antisemitismo è un cancro. Si diffonde quando i leader rimangono in silenzio. Dovete sostituire la debolezza con l’azione». Da Canberra la replica è arrivata a stretto giro. «La sparatoria di Bondi Beach – ha sottolineato Albanese – è stato un atto di antisemitismo malvagio che ha colpito al cuore la nazione. Il male che si è scatenato è incomprensibile. Il trauma e la perdita che le famiglie stanno affrontando vanno oltre il peggior incubo per chiunque».
Yoni Basan, editorialista del quotidiano The Australian, sostiene che la carneficina di Bondi Beach sia il frutto avvelenato di alcune prese di posizione scellerate del governo australiano: «Lo avevamo previsto. Avevamo avvertito che la retorica antiebraica, mascherata da critica alla guerra, avrebbe aperto la strada alla violenza. Ora, con l’arrivo dell’Intifada che avete globalizzato, risparmiateci la vostra finta sorpresa e le vostre condoglianze».
L’Opera House di Sydney ieri si è illuminata proiettando l’immagine di una Menorah, il candelabro ebraico, per ricordare le quindici vittime dell’attentato di sabato scorso (i feriti sono una quarantina). «Un messaggio di resilienza e amore dopo l’attacco terroristico di Bondi Beach», ha scritto l’Herald Sun. Oltre ai cadaveri sulla spiaggia, hanno fatto il giro del mondo le immagini di Ahmed el Ahmed, il negoziante che ha disarmato uno dei due terroristi senza cedere alla tentazione di farsi giustizia da sé.
La strage di Sydney getta ombre funeste in ogni angolo della Terra? Con il cessate il fuoco a Gaza si apre una seconda fase in cui l’odio che si è concentrato nei 365 chilometri quadrati della Striscia rischia di propagarsi in tutto il mondo? Anna Foa, autrice del libro “Il suicidio di Israele” (Laterza) e per molti anni professoressa di Storia moderna nell’Università di Roma “La Sapienza”, esprime preoccupazione per il rischio di una nuova ondata di attentati ai danni delle comunità ebraiche. «Già in passato – dice la professoressa Foa – abbiamo assistito a gravissimi episodi che si sono allargati ed estesi in tutto il mondo. Pensiamo agli attentati che si sono verificati in Francia negli anni ’80 o all’attentato al Tempio a Roma nel 1982. Ci si aspettava una crescita dell’antisemitismo reale e purtroppo c’è stata. Quello di Sydney è stato un attentato antisemita, perché ha avuto come obiettivo gli ebrei che stavano celebrando la loro festività. Ecco perché mi ricorda molto l’attentato al Tempio di Roma».
Non è ancora chiaro se gli attentatori di Sydney, padre e figlio, fossero dei “lupi solitari” o inquadrati nell’Isis. «In realtà – riflette Anna Foa – la presenza dei lupi solitari è già un fatto di per sé molto preoccupante, così come il terrorismo che non è stato domato dal massacro di 70 mila palestinesi a Gaza. Si è sempre detto, penso non solo agli oppositori del premier israeliano, ma anche ai militari e agli ex capi dei servizi segreti, che la guerra, così come Netanyahu l’aveva condotta, non sarebbe bastata a distruggere Hamas, ma nemmeno a colpire le altre fonti di terrorismo. Anzi, la guerra avrebbe sollecitato ondate di terrorismo tali da poter arrivare ad attentati sanguinari. Purtroppo, abbiamo assistito pochi giorni fa ad una cosa terribile, ad un’azione in cui hanno perso la vita tante persone innocenti in un contesto religioso simbolicamente molto importante».
Non è mancata la polemica tra Israele ed Australia. Netanyahu si è subito affrettato a contestare all’Australia la scelta, a suo dire scellerata, di riconoscere lo Stato di Palestina. Una argomentazione poco credibile che lascia il tempo che trova. «Se tutti quelli che hanno riconosciuto lo Stato di Palestina – commenta Foa – avessero per questo motivo sollecitato l’antisemitismo e gli attentati, probabilmente ci sarebbe una bomba al giorno che scoppia in tutti i Paesi del mondo. La strategia di Benjamin Netanyahu non è bastata a sconfiggere niente, anzi, ha sollecitato il terrorismo e ha sollecitato l’antisemitismo, altro che il riconoscimento dello Stato di Palestina. È stata la sua strategia che ha spinto verso la crescita del terrorismo e dell’antisemitismo».
Come si spegne l’incendio dell'odio? «Con la pace», risponde la professoressa Foa. «Con la pace, e con il rispetto dell’altro – evidenzia –, con il rispetto del palestinese che viene conculcato in tutti i modi in questo momento. In Cisgiordania si sta cercando di mettere insieme i cocci del vecchio mondo sparsi e distrutti, perché quello che è successo in questi due anni ha portato ad un cambiamento radicale, una distruzione anche di quel lontano e ingiusto equilibrio che c’era. Adesso però viviamo in una ingiustizia più marcata. Forse, con un governo israeliano diverso e anche con un mondo palestinese diverso, più attivo e più disposto a una strategia politica più incisiva, si riuscirà a raggiungere qualche risultato positivo. Occorre aggiungere comunque che la Cisgiordania è completamente rosicchiata dai coloni. È necessario, pertanto, sforzarsi nel raggiungere una tregua e una considerazione dell’altro. Questo discorso vale per i palestinesi, ma, soprattutto, per gli israeliani che hanno il coltello dalla parte del manico. Gli israeliani hanno compiuto un genocidio, sottolineo la parola genocidio. È necessaria una rinascita come la Fenice dalle ceneri per cambiare il loro modo di essere e il loro modo di vedere l’altro»


