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In un momento storico in cui i pm vengono attaccati pubblicamente se chiedono pene più basse rispetto alle aspettative delle vittime di reato, in cui i giudici sono vilipesi se derubricano un reato o assolvono gli imputati, a fare un richiamo importante ci ha pensato ieri il Procuratore Generale di Cassazione, Luigi Salvato, che nel suo intervento durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario ha specificato: «La valutazione dell’attività del pubblico ministero, ma anche della magistratura giudicante, non deve tuttavia essere alterata dal mediatico addebito di responsabilità che non li riguardano. Nell’ambito del diritto punitivo compito della magistratura è applicare la legge, accertare e giudicare i fatti-reato e gli illeciti disciplinari configurati come tali dal legislatore. La torsione verso un diritto punitivo etico ed un’ingenua concezione della sufficienza pedagogica della legge alimentano invece insoddisfazione per un’azione ritenuta talora blanda talora rigorosa sulla base di convincimenti personali, sganciati dal diritto positivo, che spesso sfociano in verdetti resi dalla “smisurata giuria pubblica” dei social media, che giudica in tempo reale, attraverso grotteschi simulacri di processi e plebisciti governati dalla sola logica dell’emotività, a rischio di manipolazione, accresciuto dall’intelligenza artificiale».
Per l’alto magistrato «va ribadito che “verità giudiziaria” è solo quella raggiunta nell’osservanza del giusto processo di legge celebrato da magistrati e avvocati; pretendere di sostituirla con improbabili indagini, abnormi plebisciti, significa distruggere le basi dello Stato di diritto e delle nostre libertà». Si è poi soffermato sull’intelligenza artificiale, il cui uso in ambito giudiziario ha aperto ampie riflessioni: «Il processo telematico, nella sua versione basica, ha solo sostituito il supporto cartaceo con quello digitale, eppure sta riconfigurando i ruoli di magistrati e avvocati. In nome della prevedibilità e della velocità si invocano ulteriori sviluppi, la giustizia predittiva, affidata all’intelligenza artificiale. Questa non va aprioristicamente rifiutata, occorre sfruttarne le potenzialità, ma dobbiamo essere consapevoli che è qualcosa di radicalmente diverso da ogni precedente scoperta dell’uomo. È una tecnologia che plasma e diffonde forme non umane di logica; gli algoritmi di machine learning non sempre sono trasparenti, spiegabili o interpretabili, soprattutto se utilizzano tecniche di deep learning. Alto è il rischio della lesione dei diritti fondamentali e dell’alterazione dell’essenza del processo; alta deve essere attenzione e prudenza nell’applicarla».
Salvato poi dedica un capitolo ad un argomento che abbiamo trattato già diverse volte su questo giornale – forse gli unici a farlo – ed è quello dei criptofonini. La questione è quella dei dati decriptati dalla autorità francesi, belghe e dei Paesi Bassi e inviati alle autorità italiane per indagini e arresti sul narcotraffico internazionale; circa la « legittimità dell’autonoma attività di indagine estera nata, sviluppatasi e conclusasi prima e indipendentemente della richiesta di assistenza giudiziaria italiana, volta alla trasmissione dei dati di contenuto decriptati sulle utenze criptofoniche individuate nei diversi procedimenti italiani, è emerso un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, rimesso alle Sezioni Unite» di cui si discuterà il 29 febbraio.
Un altro tema di interesse del giornale, commentato da Salvato nella relazione più ampia di oltre 300 pagine è quello delle misure di prevenzione. Ha ribadito nel contesto europeo una «precisa tendenza verso l’unificazione delle legislazioni nella disciplina della confisca non basata sulla condanna (non-conviction based confiscation)», «destinata a operare nei casi in cui non sia possibile giungere a un giudizio di responsabilità penale a causa dell’estinzione del reato per prescrizione».
Ha condiviso poi, contrariamente da quanto espresso da diversi giuristi su queste pagine, che «in tema di misure di prevenzione, il giudice, attesa l’indipendenza del procedimento di prevenzione da quello penale, può valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità generica del proposto ex art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. del 6 settembre 2011, n. 159, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p., ove risultino delineati, con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività, quei fatti che, pur ritenuti insufficienti – nel merito o per preclusioni processuali – per una condanna penale, possono, comunque, essere posti alla base di un giudizio di pericolosità».
Infine una riflessione sul ruolo del pm. «Sussistono ragioni di criticità dovute al pubblico ministero ed essenzialmente alla transizione che stanno vivendo tale figura e le funzioni alla stessa assegnate. La trasformazione dell’obbligatorietà dell’azione penale da regola a principio», ad esempio. Ricordiamo che il ministro Nordio nelle sue linee programmatiche al Parlamento disse che l’obbligatorietà dell’azione penale «si è convertita in un intollerabile arbitrio». È questo che intende Salvato?