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Aula di giustizia
Negli ultimi anni, il tema della motivazione autonoma nei provvedimenti giudiziari è stato al centro del dibattito politico- giuridico. A tal proposito, si è consolidato il principio che vieta il cosiddetto 'copia e incolla' acritico delle richieste della procura da parte dei giudici, sia nella fase cautelare che in quella di merito.
Il decreto Omnibus - su iniziativa di Forza Italia - ha introdotto modifiche tese a bandirlo nei procedimenti relativi alle intercettazioni, imponendo al giudice di motivare in modo autonomo e specifico il proprio consenso.
Ora, la Corte di Cassazione ribadisce con fermezza che le ordinanze cautelari devono contenere una valutazione autonoma degli indizi e delle esigenze cautelari. Inoltre, le sentenze, specialmente quelle giunte al giudizio di secondo grado, devono rispondere in modo concreto e argomentato ai motivi di impugnazione, non potendosi limitare a meri richiami o adesioni alla sentenza di primo grado. In Calabria, nell’ultimo periodo si sono verificati tre casi “gravi”.
La prima decisione ha riguardato l’inchiesta su una presunta associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti tra Cosenza e comuni limitrofi. Nel caso di specie, la Corte ha annullato senza rinvio un’ordinanza cautelare di conferma del Riesame di Catanzaro, riconoscendo la mancanza di autonoma valutazione da parte del Gip e del Tdl del capoluogo di regione, nei confronti di un uomo rimasto in carcere per sette mesi. «Quanto ai gravi indizi di colpevolezza, emerge dall'ordinanza genetica» che la valutazione del Giudice per le indagini preliminari «è stata compiuta in sette righe, testualmente riproduttive della richiesta cautelare». «Il Tribunale del Riesame», si legge nel provvedimento, «si è limitato a richiamare principi giurisprudenziali, senza tuttavia spiegare quale sarebbe stata nella specie la valutazione autonoma del quadro indiziario da parte del Giudice per le indagini preliminari nei riguardi della posizione specifica dell'imputato. La valutazione - scrive la Suprema Corte - deve essere autonoma non in generale, ma rispetto al singolo destinatario della misura e ai singoli reati contestati».
E ancora: «Quanto alle esigenze cautelari, la valutazione per il ricorrente è stata compiuta in un unico breve tratto motivazionale insieme a decine di coindagati, senza nessuna distinzione, in un tutto indistinto che non consente di differenziare alcunché». Relativamente al primo caso, la Cassazione ha evidenziato che la motivazione apparente viola l’art. 292 c. p. p., come riformato nel 2015, che richiede un vaglio critico individualizzato e impedisce ogni automatico recepimento delle richieste del pubblico ministero.
Nella seconda vicenda giudiziaria, sempre inerente all’indagine antimafia della Dda di Catanzaro, la Cassazione, riprendendo in parte le motivazioni richiamate nel primo caso citato, aggiunge: «Il Tribunale del Riesame si è limitato ad affermare che la valutazione del primo Giudice sarebbe stata autonoma per avere in generale questi disposto in molti casi misure cautelari diverse rispetto a quelle richieste dal Pm. Una motivazione non calibrata rispetto alla singola posizione dell'indagato». Anche qui, il soggetto era stato recluso per oltre sei mesi.
Infine, il processo sul cosiddetto “Sistema Rende”, dove la Suprema Corte ha annullato con rinvio le assoluzioni, perché «la Corte d’appello di Catanzaro si è limitata a condividere la sentenza di primo grado senza confutare in alcun modo le ragioni esposte nell’atto di appello». Gli ermellini, inoltre, hanno precisato che «si è, pertanto, in presenza di una motivazione del tutto mancante o comunque apparente, atteso che in tema di sentenza di appello, incorre in una motivazione apparente il giudice che si limiti a una mera rassegna degli elementi di prova assunti nel corso del processo, senza tenere in adeguato conto le specifiche deduzioni difensive, omettendo, altresì, di fornire adeguata spiegazione circa l’infondatezza, l’indifferenza o la superfluità degli argomenti opposti con il ricorso».
Infine, la Cassazione, che ha evidenziato come il ricorso del pm fosse “conforme all’onere di specificità dell’impugnazione”, ha ricordato che «l’assenza totale di motivazione è una violazione di legge per cui è ammesso il ricorso ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., trattandosi di inosservanza di un dovere presidiato a livello costituzionale». Sebbene diverse tra loro, le sentenze della Cassazione mettono in chiaro alcuni principi inderogabili.
Il giudice, innanzitutto, deve esercitare un controllo autonomo e critico sulle richieste del rappresentante della pubblica accusa, deve inoltre valutare nello specifico ogni posizione individuale e deve rispondere con puntualità alle deduzioni delle parti processuali, in modo particolare nei giudizi di impugnazione.