Le redazioni esplodono. I titoli arrivano prima dei fatti. Hanno la forza di un verdetto, l’immediatezza di un pugno in faccia. Dal 28 giugno 2019 i giornali spremono l’ordinanza di custodia cautelare come un limone. Ogni riga interpretata, ogni frase gonfiata. Il processo? Non serve nemmeno.

“Finti abusi e lavaggio del cervello per togliere i bambini ai genitori”, scrive il Corriere. “Scariche elettriche sui bimbi”, rincara il Mattino. Nessuna sentenza. Un’indagine appena avviata. Ma la storia è già scritta, il copione già distribuito. Bibbiano, piccolo paese emiliano, diventa una parola oscura, un sinonimo di orrore. I giornalisti inseguono notizie, audio, dettagli. Alimentano il fuoco. “Mostri malati di cupidigia”, “bimbi strappati alle famiglie”, “un affare da cinque miliardi”. Nessun condizionale. Si parla al presente. Si accusa. Si condanna.

Poi arrivano le televisioni. Uno Mattina. La Vita in Diretta. I talk serali. Scenografie appositamente studiate per evocare l’angoscia. Il mostro, si lascia intendere, può bussare alla porta di chiunque. Nei salotti tv spuntano sedicenti genitori vittime dei servizi. Nessuno chiede riscontri di quei racconti: sono strappalacrime e tanto basta. Le vittime di questi “mostri” sembrano migliaia. L’inferno è concentrato tutto lì, a Bibbiano. Nessuno ha dubbi.

Le immagini scorrono: il municipio, le case famiglia, i volti sfocati degli operatori sociali. Il linguaggio è netto, perfino crudele. Nessuno dubita, nessuno corregge. La macchina del fango corre. In questo clima, la verità non interessa. Conta il racconto. E il racconto vuole eroi e mostri. Bibbiano diventa un totem, un campo di battaglia ideologico. Le magliette con scritto “Parliamo di Bibbiano” spuntano ovunque. Indossarle è un atto di guerra. Gli hashtag popolano feroci la rete. Non c’è luogo in cui non si parli di Bibbiano. E i politici fiutano l’aria. Il vicepremir Luigi Di Maio annuncia una commissione d’inchiesta e attacca frontalmente: «Noi col “partito di Bibbiano”, il partito che toglie i bambini alle famiglie con l’elettroshock allo scopo di venderli, non avremo mai a che fare».

Giorgia Meloni, leader dell’unico partito di opposizione, promette: «Ripareremo noi i danni della sinistra». E si fa immortalare sotto il cartello di Bibbiano: «Siamo stati i primi ad arrivare e saremo gli ultimi ad andarcene». L’altro vicepremier, Matteo Salvini, chiede pene durissime. Le parole rimbalzano, si amplificano, diventano slogan. Perché le elezioni regionali sono alle porte e conquistare l’Emilia Romagna significa espugnare la roccaforte rossa d’Italia.

Nel giro di pochi giorni, un’indagine diventa un caso morale. Poi mediatico. Poi politico. Ogni prudenza è complicità. Ogni invito a tacere, una confessione. Tutti parlano. Tutti sanno. Tutti sentenziano. Anche chi non c’entra. Laura Pausini, sui social, scrive: «Sono senza parole, senza fiato, piena di rabbia nei miei pugni, mi sento incazzata fragile impotente... Questa notizia è uno scandalo per il nostro Paese... Se avete un figlio pensate che improvvisamente una persona, della quale potreste anche fidarvi, fa un lavoro psicologico tanto grave da portarveli via. Come si rimedia adesso nella testa e nei cuori e nell’anima di queste persone? Ma vogliamo fare qualcosa?». Trentottomila like. Settemila commenti. Tutti indignati. Anche Nek scrive: «Penso a mia figlia e alla possibilità che mi venga sottratta senza reali motivazioni solo per abuso di potere e interesse economico... Ci sono famiglie distrutte, vite rovinate per sempre. E non se ne parla. Ci vuole giustizia!». Nessuno ne parla, urlano indignati. Ma sui giornali e in televisione non si parla d’altro. E chi chiede cautela pare difendere i colpevoli. E allora anche Ornella Vanoni dice la sua: «È mostruoso ciò che è accaduto a Bibbiano. Questi bambini hanno perso l’infanzia... Non sono pupazzi che si possono spostare da una famiglia all’altra. Queste persone dovrebbero andare in galera senza processo».

Senza processo. È esattamente quello che chiede l’opinione pubblica. Un patibolo pronto in piazza. Nessuna attesa. Solo la gogna. A nessuno importa più se quei bambini sono stati salvati o strappati. Se ci sono responsabilità o solo errori. Se l’indagine è fondata o no. E questo, in uno Stato di diritto, non dovrebbe essere possibile. Lo so, penso, sono parole che si dicono spesso. Trite e ritrite. Slogan, come quelli dei politici in piazza. Ma stavolta è diverso. Stavolta persino i giornali più prudenti, quelli che si dichiarano garantisti, attaccano. Nessuno difende la presunzione d’innocenza. E mentre tutto intorno si muove a velocità vertiginosa, sento che sto per imboccare una strada stretta, scomoda. Forse senza uscita. Ma sento anche che è l’unica che posso prendere.