Ecco la prefazione di Luigi Manconi e Marica Fantauzzi al libro “Demoni e Angeli storia vera e completa del caso Bibbiano (Behopebooks) di Simona Musco. 

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Il capolavoro dell’ingiustizia è di sembrar giusta senza esserlo. Con questa frase, attribuita a Platone, potrebbe cominciare questo libro. In tutte le epoche, evidentemente, uomini e donne hanno preferito credere a una verità piuttosto che a un’altra: per convenienza, per ignoranza, per vergogna e per timore o per fiducia in credenze ritenute plausibili, si finisce per costruire una realtà parallela, minuziosamente precisa, autentica quasi quanto quella che si lascia alle spalle.

Nulla di strano, si dirà. Il mondo può essere talmente crudele da risultare insopportabile e se l’unico rifugio è l’immaginazione, che si trovi riparo lì dove si può. Per tale ragione, la costruzione di una verità storica, ancor prima di quella giudiziaria, è una responsabilità per pochi. I quali, oltre a doverla accertare, verificare e comprovare, la dovranno anche comunicare. E la responsabilità, a quel punto, si ramifica: c’è chi confeziona una verità e chi, comunicandola, decide se accoglierla così com’è, alterarla o metterla in dubbio.

Ed è proprio lungo questa articolazione che solitamente prende avvio un processo in grado di anticipare quello giudiziario, che non prevede alcuna garanzia per l’imputato: è il processo mediatico, la gogna massmediale, l’inesorabile costruzione del Mostro.

In Italia, la stretta corrispondenza tra la spettacolarizzazione del crimine e l’andamento di un processo giudiziario, ha causato grandi traumi e altrettanto grandi sofferenze, sia private che collettive. E quando al centro di questa spettacolarizzazione si trovano dei bambini, gli effetti sono incalcolabili e i danni spesso irreparabili. Si pensi a quel padre di Limbiate, in provincia di Monza, che nel 1989 portò la figlia, di appena due anni e mezzo, in ospedale perché febbricitante.

Dopo l’immediato ricovero la segnalazione al Tribunale dei minorenni e l’accusa a mezzo stampa: l’uomo, così aprirono i giornali, avrebbe reiteratamente abusato di sua figlia. Da lì l’allontanamento del padre e il processo da parte di settori dell’opinione pubblica e del sistema mediatico. Nel frattempo, la procura di Milano chiese una perizia: l’abuso fu smentito. Pochi mesi dopo si scoprirà che la bambina era affetta da un tumore maligno e da lì a poco morirà.

Francesco Cossiga, allora Presidente della Repubblica, scriverà alla famiglia: «Sono qui a chiedervi perdono per le ingiuste sofferenze che la terrena limitatezza dell’attività dello Stato vi ha così crudelmente inferto e per i peccati di indifferenza e leggerezza di cui una intera società si è resa colpevole verso di voi».

La realtà, ci insegna quella storia, tende ad essere alterata quando di per sé non prevede colpevoli. La possibile casualità del male se da un lato è complicata da accettare, dall’altro è priva di ulteriori significati, quindi difficile da utilizzare, sia mediaticamente che politicamente. Questo non significa che bisogna accettare le verità così come vengono proposte/ imposte.

Significa piuttosto che chi è tenuto a verificarle dovrebbe assumere una postura onesta, ovvero priva di pregiudizi e sempre aperta al dubbio. Questo è ciò che, né più né meno, ha saputo e voluto fare Simona Musco seguendo dall’inizio la vicenda del presunto sistema degli affidi illeciti nella Val d’Enza: capire prima di scrivere, dubitare prima di decretare.

E se tutta questa vicenda si potesse leggere attraverso il nome dato all’indagine dalla Procura di Reggio Emilia? E se quel “Angeli e Demoni” offrisse la chiave interpretativa più efficace per cogliere nei cosiddetti “fatti di Bibbiano” alcune robuste tendenze dell’amministrazione della giustizia, dell’orientamento del sistema mediatico e persino della lotta politica, capaci di manipolare profondamente la realtà?

Angeli e Demoni ( attenzione: demoni, non diavoli) non rivela solo un’idea talmente dicotomica del perimetro del bene e del perimetro del male da risultare inevitabilmente fallace. No, non è solo questa rappresentazione di un mondo della virtù, contrapposto radicalmente a quello del vizio che suona non credibile: c’è qualcosa di più in quel titolo così pesantemente evocativo.

Una circolare del Consiglio Superiore della Magistratura del 1996 raccomandava di non ricorrere a termini suggestivi per indicare le inchieste giudiziarie in corso. Il motivo è semplice e quanto mai ragionevole: attraverso parole troppo denotative si contribuisce a formare l’opinione pubblica nei confronti di quelle stesse inchieste. Dunque, ancora quel titolo è evidentemente pericoloso e, alla resa dei conti, manipolatorio.

Infatti, Angeli e Demoni richiamano un ambiente, un tempo, una sottocultura assai precisamente connotati: un fosco scenario premoderno, nelle pieghe oscure della bassa padana, dove la civiltà rurale si è industrializzata lasciando tuttavia sacche di arretratezza sociale, ma anche mentale. E dove la cooperazione e il mutualismo convivono con forme esasperate di individualismo e con suggestioni oscurantiste. Così gli Angeli e i Demoni sembrano coerenti con un paesaggio dove si diffondono sette esoteriche e rituali satanici, manipolazione di menti e di coscienze e aggregazioni di potere corporativo. Questo anche perché, del tutto indebitamente, si è voluto creare un collegamento tra l’indagine iniziata nel maggio del 2018 e quella precedente dove rituali necrofili e gruppi satanisti apparivano e scomparivano. Perché ciò è stato possibile? Innanzitutto, perché quegli “angeli” richiamavano un tratto fondamentale del senso comune: l’idea del bambino come bersaglio eterno e ricorrente della malvagità umana e, in specie, di quella nazionale.

L’apparato narrativo è amplissimo, le circostanze elencate, i dettagli, la costruzione degli episodi smisurata. Il sistema discorsivo è talmente imponente da mettere, di per sé, gli accusati con le spalle al muro. Il racconto è complesso e ricco di mille episodi, soggetti, interessi e complicità. Eppure, per quanto dettagliato sembri il disegno fornito all’opinione pubblica, la verità giudiziaria ha bisogno di prove reali, che vadano oltre ogni ragionevole dubbio.

Ma la vicenda di Bibbiano, come racconta in modo documentato Simona Musco, assumerà contorni che andranno ben oltre il perimetro giudiziario: la pressione mediatica sarà utilizzata, in sede processuale, come cordone sanitario nei confronti degli imputati. E, poi, i leader di partito faranno propaganda elettorale utilizzando le biografie di quei bambini e di quelle famiglie, fino ad auspicare l’allontanamento di altri figli, quelli dei rom: “Mi domando perché quando gli assistenti sociali visitano un campo rom non tolgono loro i bambini. Sono implacabili con chi non riesce a pagare le bollette, mentre con chi educa i bambini a rubare non fanno niente”.

(Matteo Salvini) Verranno gonfiati i dati, fornite letture inesatte del mondo degli affidi in Italia (assolutamente in linea con la media europea, anzi, ben al di sotto dei picchi di altri paesi), messo sotto accusa l’intero lavoro del Tribunale dei minori e quindi quello degli assistenti sociali, degli psicologi e del sindaco della città. E in tutto questo a scomparire, ancora una volta, è la vittima.

Nella forza centripeta di un processo mediatico tutto converge verso il potenziale colpevole: non c’è tempo per la storia di chi è sopravvissuto, non c’è motivo di proteggere chi è già esposto. Serve tutto e subito e se quel tutto appare incoerente non importa, l’essenziale è che sia verosimile.

Se quella circolare del Csm che chiedeva cautela nel dare un nome ai fascicoli fosse stata accolta dalla Procura di Reggio Emilia, non chiamando “Angeli e Demoni” l’indagine su quanto sarebbe accaduto a Bibbiano, probabilmente nulla sarebbe cambiato.

Eppure, quel nome appunto seducente un qualche ruolo l’ha avuto nella costruzione di un immaginario comune. Un nome che si è insinuato nel linguaggio politico e mediatico e che ha finito per consegnare una realtà privata delle sue sfumature, semplificata e resa irrimediabilmente binaria. Ma come sappiamo oggi, anche grazie al lavoro dell’autrice di questo libro, la realtà, come la giustizia, non appartiene né ai buoni né ai cattivi.

P. S. Nell’inaudito florilegio di dichiarazioni pubbliche spiccano, per la loro brutalità, in particolare due. Giorgia Meloni: “Un po’ come nelle favole ci sono gli orchi che mangiano i bambini, qui pare che ci fossero degli orchi che rubavano i bambini per mangiarci sopra”. Luigi Di Maio, allora leader del Movimento 5 Stelle ( rivolgendosi al Partito democratico): “Mai con il partito di Bibbiano”. Dio, come sarebbe bello sentirli pronunciare delle scuse!