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AULA DI GIUSTIZIA
Il tribunale di Torino ha assolto un imputato dal reato di maltrattamenti in famiglia “perché il fatto non sussiste” e lo ha condannato a un anno e sei mesi per le lesioni ai danni dell’ex moglie, avvenute il 28 luglio 2022. Quel giorno il soggetto punito nel primo giudizio di merito sferrò un pugno in volto alla donna. Il collegio ha concesso all’uomo la sospensione condizionale della pena, subordinata alla partecipazione a percorsi di recupero presso enti specializzati, e al pagamento di una provvisionale di 20mila euro alla persona offesa, costituita in giudizio con l’avvocato Annalisa Baratto.
Il punto più controverso è l’assoluzione dal reato di maltrattamenti, fattispecie che richiede una condotta abituale di vessazioni fisiche o psicologiche tale da rendere la vita familiare intollerabile. Per il Collegio, quella prova non è emersa, in quanto le discussioni seguite all’annuncio della separazione (agosto 2021, via messaggio, mentre la donna era in Piemonte e l’allora marito a casa dei suoi genitori al Sud) sono state giudicate come litigi aspri ma “comprensibili” nel contesto della dissoluzione della comunità domestica, ovvero la fine di un matrimonio durato quasi 18 anni.
In relazione alle frasi proferite dall’imputato e riferite dalla parte offesa (“che ero una puttana, che avevo rovinato la famiglia, che per 17 anni lui aveva dato l'anima a questa famiglia, che io non guadagnavo un cazzo, che avrei fatto la fame a vivere con i ragazzi... che non ero una brava mamma”), il giudice ha scritto: “Pare evidente che queste frasi devono essere calate nel loro specifico contesto: l'amarezza per la dissoluzione della comunità domestica era umanamente comprensibile; era legittimo che l'imputato rivendicasse il contributo dato alla famiglia; le frasi finali, al di là dello scurrile linguaggio, esprimevano disappunto e preoccupazione per il sicuro peggioramento delle condizioni economiche. È perciò sincero e persuasivo l’imputato quando afferma: ‘È successo che è volata qualche parolaccia perché stava rovinando un matrimonio felice e una famiglia felice”.
Inoltre, la testimonianza della persona offesa rispetto alla querela è stata ritenuta in più passaggi inattendibile o drammatizzata, specie quando una spinta al volto è stata descritta come “schiaffo” e frasi o condotte sono state riportate come abituali, poi smentite da altri elementi. Il Collegio si è soffermato anche sulle relazioni dei servizi Asl TO5, mentre altri riscontri hanno evidenziato la gestione familiare “senza conflittualità” dopo la separazione. Il presidente estensore Paolo Gallo ha analizzato anche il caso in cui l’imputato, minacciando di strappare la separazione consensuale, chiedeva alla moglie di ammettere una nuova relazione extraconiugale, poi confermata.
Non meno importante la questione sul figlio minore, presente nelle condotte contestate nel capo d’accusa sui maltrattamenti. Secondo il tribunale, gli episodi evocati non avevano i tratti di violenze abituali, ma erano interventi contenitivi o scambi padre-figlio in chiave goliardica. Come nell’episodio in cui il figlio, giocando alla Playstation, ebbe uno scatto d’ira: “Stava purtroppo prendendo a calci tutta la casa..., e allora per fermarlo e per calmarlo l’ho preso per la maglietta...” disse il padre. Da qui la conclusione: manca l’abitualità e non si integra l’art. 572 del codice penale. Siamo in presenza di una “normale (ancorché concitata) dialettica innescata da una decisione sicuramente traumatica”.
Resta invece accertato l’episodio del 28 luglio 2022: un pugno al volto dell’ex compagna, in casa, con fratture dello zigomo/orbita sinistra e diplopia residua “nei campi estremi superiori”. Il giudice ha respinto le cause di giustificazione, ricostruendo il contesto scatenante: la rottura del rapporto, la nuova relazione della donna e confidenze del figlio sul suo rapporto col nuovo compagno. In questa cornice definisce il gesto come “sfogo riconducibile alla logica delle relazioni umane”, unico episodio non idoneo da solo a fondare i maltrattamenti, ma penalmente rilevante come lesioni.
Le parole del Collegio hanno innescato polemiche politiche. Secondo il Pd, siamo di fronte “a un caso lampante di vittimizzazione secondaria di una donna. Colei che ha denunciato e che stava per rimetterci la vita è stata giudicata correa rispetto al suo aggressore, colpevole di aver compromesso l'unità familiare fondata su un matrimonio segnato dalla violenza fisica, psicologica ed economica. È la condotta violenta dell’uomo che deve essere oggetto di giudizio, non il comportamento o la vita della vittima. Su questo caso accenderemo i riflettori della Commissione Femminicidio”, scrivono in una nota i parlamentari Pd Cecilia D'Elia, Sara Ferrari, Filippo Sensi, Valeria Valente, Antonella Forattini e Valentina Ghio.
Anche Augusta Montaruli, vice capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, interviene: «La commissione femminicidio acquisisca gli atti del processo di primo grado in relazione al caso Lucia Regna affinché venga fatta chiarezza circa le indiscrezioni di stampa e la reale portata della sentenza assunta dal tribunale di Torino».


