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La Sesta Commissione del Csm ha designato la squadra che elaborerà i test psicoattitudinali da sottoporre agli aspiranti magistrati dal 2026 in poi. I membri della Commissione, infatti, saranno affiancati da quattro esperti: Santo Di Nuovo (Psicologia generale), Monica Molino (Psicologia del Lavoro), Giuseppe Sartori (Psicologia forense) e Andrea Spoto (Psicometria), selezionati dopo un'ampia fase di audizioni.
La Commissione ha adottato un indirizzo preciso, in linea con la ratio della norma: l’obiettivo è valutare le capacità cognitive specifiche necessarie per la funzione giudiziaria. Sono così esclusi i test di personalità, un’opzione scartata perché i risultati sarebbero “scarsamente predittivi” e “soggetti a falsificazioni”, rischio che i test psicoattitudinali non presentano. Questi strumenti si differenziano dai test d’intelligenza generici e dalle valutazioni cliniche (psicodiagnostiche): sono specificamente progettati per misurare il potenziale del candidato, ricercando abilità come la capacità di ragionamento, la soluzione di problemi e l’adattamento.
Ma soprattutto cancellano il rischio di profilazione, proprio ciò che aveva scatenato la polemica da parte delle toghe, che ora, invece, contribuiranno a stabilire i criteri. L’orientamento adottato dal Csm prevede infatti l’individuazione preventiva delle condizioni che configurano «l’idoneità cognitiva» per l’accesso alla magistratura. Proprio per tale motivo devono essere elaborati «con un esperto di “dominio”» cioè «con la collaborazione di chi conosce (magistrato o gruppi di magistrati) le peculiari abilità che caratterizzano la categoria professionale di riferimento, individuando così i temi da approfondire in sede di prova», così come, nelle aziende, è il committente a definire il profilo del candidato ideale.
Saranno dunque i magistrati ad indicare “l’identikit” cognitivo del magistrato ideale. Stando alle audizioni, capacità come, ad esempio, la competenza verbale, il ragionamento logico, induttivo, deduttivo, abduttivo, la capacità di risolvere problemi, l’esame di realtà, la flessibilità, l’apertura mentale «sono state ritenute indispensabili per l’aspirante magistrato che intenda esercitare la funzione giudiziaria con correttezza ed efficacia». Altro aspetto da approfondire nella valutazione dell’aspirante toga è «la possibile incidenza di bias cognitivi (preconcetti o illusioni cognitive) nel suo processo decisionale».
Una volta individuate le caratteristiche ideali si passerà alla parte psicometrica, con la costruzione dei test. Alcuni degli esperti hanno suggerito l’utilizzo della Item response theory, «un approccio psicometrico usato per i test di selezione in ambito universitario, che garantisce una serie di proprietà di misurazione e che ha il vantaggio di variare di anno in anno (quanto a domande da porre), rendendo così vane preparazioni dirette ad aggirare la valutazione, come invece accade per il test Minnesota multiphasic personality inventory (Mmpi)».
Dal punto di vista contenutistico, tra le ipotesi c’è quella di una prova in basket, test che consiste in una simulazione pratica di situazioni tipiche che un magistrato affronterebbe nel corso della sua attività professionale. Il suo scopo principale è valutare le competenze trasversali del candidato, come la capacità decisionale, l’organizzazione e la gestione delle priorità. La valutazione avviene tramite risposte chiuse scelte dal concorrente in base alla sua esperienza, che poi vengono analizzate con una griglia scientifica per misurare il grado di aderenza tra il profilo attitudinale dimostrato dal candidato e le caratteristiche ideali richieste per la funzione giudiziaria. L’esito, comunque, non prevederà un voto, ma un giudizio dicotomico - idoneo o non idoneo - e la valutazione completa del candidato non potrà prescindere dal successivo colloquio.
Sono diversi gli ambiti in cui tali test sono impiegati, come selezione del personale, valutazione delle risorse umane, orientamento professionale, progettazione di percorsi formativi personalizzati. E stando agli esperti sarebbero «particolarmente utili per valutare non tanto le conoscenze acquisite, quanto il potenziale di sviluppo e l’adattabilità di un individuo a compiti e situazioni».
Il secondo indirizzo analizzato durante le audizioni - e, dunque, scartato - prevedeva invece una valutazione spiccatamente finalizzata all’accertamento di psicopatologie nonché di disturbi di personalità, con l’utilizzo di test come il Minnesota e altri simili. È stato anche raccomandato l’uso di test per individuare tratti di personalità più specifici, come il Pathological narcissism inventory, per ricercare tratti narcisistici. Tale opzione, però, non appariva coerente con la scelta del legislatore, che aveva in mente uno strumento per valutare attitudini specifiche e non una diagnosi psicopatologica.
Di tutto questo, dunque, si discuterà nel plenum del 15 ottobre, quando si affronterà anche un’altra pratica relativa ai test, quella della Nona Commissione, che ha effettuato un’analisi comparativa sulle prassi di diversi ordinamenti europei nella selezione e nella carriera dei magistrati. Il risultato è chiaro: l’introduzione dei test è ritenuta compatibile con l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.
In generale, infatti, i test in Europa sono visti come strumenti per verificare l’idoneità e tutelare il benessere psichico, non come modelli di profilazione. Potrebbero non mancare, comunque, proposte da parte del Csm, come quella di spostare il colloquio psico-attitudinale al termine del tirocinio di 18 mesi, attivandolo solo su segnalazione dei magistrati affidatari, per valutarne l’idoneità dopo un effettivo periodo di “stress test” operativo.