Sull’ergastolo ostativo la Corte costituzionale non ha fatto una «scelta buonista»: ha tenuto a ricordarlo la presidente della Corte costituzionale Silvana Sciarra, durante l’incontro tenuto ieri con i giornalisti subito dopo aver presentato la Relazione annuale sull’attività della Consulta al Presidente Sergio Mattarella e alle altre cariche istituzionali.

A chi le faceva notare come a causa dei troppi rinvii al Parlamento sul tema del “fine pena mai”, il detenuto Pezzino, autore del “ricorso-pilota” sul 4 bis, fosse ancora in carcere dopo 30 anni, Sciarra ha replicato: «Abbiamo restituito gli atti al giudice della Cassazione. Non solo un atto dovuto ma un atto collaborativo con il giudice che aveva sollevato la questione». Poi ha ammesso: «È vero, il detenuto è ancora lì, e questo è un punto che sta molto a cuore a tutti, abbiamo cercato noi di lavorare con tempi i più rapidi possibili, la tecnica del rinvio al Palamento può comportare un ritardo. Ripeto: prevale il rispetto istituzionale, in questo caso, verso la scelta del legislatore». Sui rapporti col Parlamento, Sciarra aveva annotato nella Relazione: «La complessità di questa vicenda propone, ancora una volta, il tema della leale collaborazione fra Corte e Parlamento, tema da non trascurare nella sua rilevanza istituzionale».

Si è mostrata più audace nella intervista pubblicata sull’Annuario: «Certo, un giorno non lontano si dovrà fare un bilancio molto puntuale in merito a questa apertura di credito al legislatore che, purtroppo, sui temi molto sensibili e socialmente rilevanti, non ha portato sempre a risultati soddisfacenti e rapidi per i cittadini». Il riferimento è molto probabilmente all’ergastolo ostativo, al carcere per i giornalisti, al fine vita. «Sarebbe interessante – ha aggiunto in conferenza stampa – capire come il Parlamento ordina i nostri moniti, come li mette in fila, come li analizza, come li esamina, se ne discute, se ci sono uffici adeguatamente pronti a risolvere i quesiti che noi poniamo, se c’è un’attività preparatoria. Forse si dovrebbe sollecitare il Parlamento a dirci di più perché certe volte si attende così a lungo».

Noi invece abbiamo chiesto al vertice della Consulta se condividesse il fatto che il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha richiesto il riesame della gestione dei detenuti sottoposti al 41-bis, perché in contrasto con l’articolo 27 della Costituzione. «Non mi esprimo sulle raccomandazione del Comitato perché non mi compete», ha esordito, ma poi ha tenuto a precisare: «L’Italia è vincolata da fonti del diritto internazionale al divieto di tortura, che è anche una misura applicata alla detenzione. Credo che la Corte abbia già dato la sua visione sulle misure che, senza nulla togliere alla finalità di un reato ostativo, ci induce anche a riflettere sul fatto che siamo l’unico Paese in cui esiste questa formula» del 41 bis, «e abbiamo su di noi anche l’occhio attento sempre della Corte di Strasburgo, che ci ricorda come contemperare il cosiddetto diritto alla speranza e quindi la visione di una risocializzazione del detenuto».

Ha quindi osservato: «La Corte costituzionale punta molto su questo, sulla funzione rieducativa della pena, sul ravvedimento, che può avvenire sempre, e sulla facoltà dei giudici di sorveglianza di rivedere alcuni trattamenti penitenziari quando se ne pongono le condizioni, e quindi adattando le modalità dell’esecuzione della pena, aprendo degli spazi. La parola dignità non va mai dimenticata in questi contesti, la dignità della persona è al centro del divieto di reato di tortura, il quale consiste nell’infliggere sanzioni che sono fisiche, ma possono essere anche psicofisiche».

Di giustizia Sciarra ha parlato anche quando le è stato ricordato che la Corte indebolirebbe la lotta alla criminalità organizzata nell’aprire alcuni varchi per chi ha commesso reati di mafia: «Mi torna in mente un libro di qualche anno fa del professor Glauco Giostra dal titolo ‘Prima lezione sulla giustizia penale’. Mi aveva colpita l’immagine che lui propone della giustizia penale come un ponte tibetano, esile ma forte. Mi sono immaginata la Corte costituzionale su questo ponte tibetano: siamo spesso in questa posizione. Abbiamo aperto dei piccoli varchi sulle modalità di esecuzione della pena. C’è quindi da un lato la realtà dura, la giusta sanzione inflitta a chi ha sbagliato, e dall’altro lato il rispetto della dignità della persona che sta scontando una pena. Intervenendo sulla modalità di esecuzione della pena si dimostra anche ai critici che non c’è un disegno di indebolimento dei criteri» nella lotta alla criminalità organizzata. Quei criteri «devono restare forti, ma c’è anche il punto di vista dei diritti, che è il punto di vista di questa Corte».

Verso la fine dell’incontro con la stampa anche un passaggio sull’equo compenso, a partire da una domanda sul salario minimo: «Le fasce di lavoro autonomo dei liberi professionisti ancora una volta corrono il rischio della povertà. Forse in Italia c’è un sovraccarico nei numeri, per esempio per le professioni forensi. Però questi lavoratori autonomi ricercano nella Costituzione anche loro la garanzia dei diritti. E la stanno ricevendo: nella mia relazione ho fatto riferimento alla loro iscrizione nella gestione separata, concepita per accedere universo di tutele previdenziali e assistenziali. L’articolo 36 è forse quello più interessante e bello della nostra Costituzione».