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L’ aula del Senato durante il voto di fiducia sulla legge di Bilancio, Roma, Sabato, 28 Dicembre 2024 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Senate chamber during the vote of confidence on the Budget law, Rome, Saturday, December 28, 2024 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
La separazione delle carriere è sbarcata ieri in una Aula del Senato quasi vuota, senza mandato al relatore e senza la discussione di tutti i mille emendamenti presentati in Commissione affari costituzionali. Tutto come previsto, nulla di nuovo sotto al cielo: le opposizioni che hanno ribadito come dal Governo sia in atto una sorta di «golpe costituzionale», la maggioranza che ha replicato come sia stata garantita la discussione e che tutto è iscritto nel regolamento parlamentare.
Ma per il capogruppo del Pd in Commissione Affari Costituzionali del Senato Andrea Giorgis «si tratta di una forzatura gravissima che non ha precedenti nella nostra storia repubblicana e che mortifica non solo le prerogative delle opposizioni, ma dell’intero Parlamento. La riforma della Costituzione, così come la Costituzione, dovrebbe essere sempre il risultato di un accordo, di un compromesso tra tutte le forze politiche e quindi tra tutti i cittadini, e non un patto stipulato dentro il governo che il Parlamento deve solo ratificare».
Mentre per il senatore di Fratelli d’Italia Sergio Rastrelli «stiamo attraversando un Rubicone di una magistratura spesso incline a sottrarsi alle scelte del potere legislativo e alle norme che devono regolarne l’attività. Stiamo attraversando un Rubicone - aggiunge - di una palude, che troppo spesso ha infestato questa Nazione, un vero e proprio abisso istituzionale e giudiziario nel quale l’Italia stava sprofondando. E quindi è nostra scelta e nostra responsabilità varcare quel guado qui e ora, nonostante le forze di resistenza al cambiamento, perché è quello che ci sta chiedendo l’Italia».
Sulla questione è tornato a prendere una ferma posizione Francesco Greco, presidente del Cnf: «La separazione delle carriere è un passo avanti verso una giustizia finalmente imparziale, fondata sul contraddittorio e sulla parità tra accusa e difesa, attuando il principio del giusto processo come previsto dalla Costituzione. Prosegue così un percorso di riforma atteso da decenni, che restituisce terzietà all’azione giudiziaria e centralità al dibattimento in aula. Per questo motivo, il Cnf sostiene una riforma che rafforza le garanzie per i cittadini e rende il procedimento più equo e trasparente». Per il vertice dell’avvocatura istituzionale «nessuno intende indebolire la magistratura, anzi: il provvedimento introduce chiarezza, distinguendo le funzioni nell’interesse del giusto processo. Se mai si intravedesse un rischio per l’autonomia dei magistrati, gli avvocati sarebbero pronti a mobilitarsi in difesa della loro indipendenza, baluardo dello Stato di diritto».
Ha concluso Greco: «In una democrazia è essenziale che siano i cittadini ad esprimersi su una modifica di così alto rilievo costituzionale. Il referendum confermativo sarà l’occasione per coinvolgere direttamente la società civile: è giusto che sia il popolo sovrano a decidere sulla separazione delle carriere».
Il provvedimento dovrebbe essere approvato a metà della prossima settimana a Palazzo Madama. A luglio, come da calendario d’Aula già approvato, la riforma arriva nuovamente a Montecitorio. Non si sa ancora se verrà approvata prima delle vacanze estive o settembre. L’obiettivo del Governo è quello di chiudere la partita parlamentare entro la fine dell’anno, indire il referendum nei primi mesi del 2026 e scrivere le leggi attuative prima del rinnovo del prossimo Consiglio Superiore della Magistratura, previsto per settembre del prossimo anno. Difficile rispettare tale desiderata in quanto il Guardasigilli ha sempre detto che vorrebbe discutere con gli attori in gioco, in primis l’Anm, la scrittura dei decreti attuativi.
Proprio dall’Anm si è pronunciato il Segretario, Rocco Maruotti, che ha espresso il timone di come il referendum possa diventare un «sondaggio sul gradimento della magistratura da un lato e del governo dall'altro, determinando perciò un non auspicabile conflitto istituzionale che si poteva evitare se il governo non avesse blindato il testo e avesse fatto il tentativo di giungere ad una soluzione condivisa con le altre forze parlamentari, magari accogliendo alcune delle tante proposte migliorative contenute negli emendamenti presentati dai partiti di minoranza».
Comunque guardando a questo timing sembra prevalere l’interpretazione dell’articolo 138 della Costituzione («Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione») per cui i tre mesi vengono calcolati dall’approvazione nella prima Camera, come ci aveva già anticipato il professor Giovanni Guzzetta.
Fonti parlamentari del Pd alla Camera fanno sapere che su questo aspetto, che riguarda proprio l’iter di approvazione della norma, potrebbero sollevare una questione pregiudiziale di costituzionalità più performante rispetto a quelle presentate al Senato, che si sono concentrate in generale sulla blindatura del testo da parte del Governo e sono state tutte respinte alla presenza del Ministro Nordio che poi ha lasciato l’emiciclo.