Il suicidio di Stefano Argentino, reo confesso dell’omicidio della studentessa Sara Campanella, ha scosso nuovamente l’opinione pubblica. Una vicenda già atroce che si è chiusa con un epilogo ancora più drammatico: la morte in cella del giovane detenuto nel carcere di Messina. Una tragedia nella tragedia che interpella la coscienza collettiva e solleva questioni scomode: il diritto alla cura, la dignità anche del colpevole, le falle di un sistema penitenziario ormai esausto.

Aldo Di Giacomo, segretario del sindacato di polizia penitenziaria Spp, non ha usato mezzi termini: «Una tragedia annunciata». Argentino aveva già manifestato intenti suicidari subito dopo l’arresto, ma dieci giorni prima del gesto gli era stata revocata la sorveglianza. Questo dettaglio, apparentemente tecnico, pesa come un macigno sulle responsabilità istituzionali. Le prime settimane di detenzione - ricorda Di Giacomo - sono quelle più a rischio, soprattutto per giovani alla prima reclusione, con reati di sangue e fragilità evidenti. Eppure, il controllo costante non c’era più.

Il caso di Stefano Argentino si inserisce quindi in un contesto nazionale segnato da numeri allarmanti: 51 suicidi in carcere dall’inizio dell’anno, uno ogni quattro giorni. Almeno una trentina le morti in circostanze simili a quelle che hanno portato al decesso del giovane siciliano. «Il carcere non può essere un luogo di morte», ha ammonito ancora Di Giacomo, denunciando l’inefficienza della task force voluta dal ministro Nordio e il paradosso di spese elevate (150 euro al giorno per detenuto) a fronte di servizi carenti. L’assistenza psichiatrica e psicologica è praticamente inesistente, il personale sanitario ridotto all’osso. «Con l'aggravante che medici e personale sanitario, non adeguatamente tutelati e vittime di continue aggressioni e minacce dei detenuti, vanno via. Il sovraffollamento e l'assenza di servizi di assistenza psicologica e sanitaria sono le prime cause mentre il costo complessivo di ciascun detenuto per lo Stato sfiora i 150 euro al giorno che non trova riscontro nell'assistenza da garantire».

E mentre si progettano celle-container per tamponare l’emergenza, la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, propone un percorso parlamentare sul sovraffollamento. Ma basterà? Al suo fianco anche il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, l’avvocato Fabio Pinelli, che auspica provvedimenti immediati affinché il carcere non diventi soltanto una “scuola del crimine”.

Sull’altro fronte, l’avvocato Giuseppe Cultrera, legale di Stefano Argentino, è netto: «È il triste, drammatico, epilogo di una storia di cui si supponeva già il finale. Sara è stata uccisa, Stefano si è tolto la vita e l’unica responsabilità è da attribuire allo Stato». Aveva chiesto una perizia psichiatrica per il suo assistito, proprio per comprendere se al momento del fatto fosse capace di intendere e volere. «Il gip l’ha negata», ha precisato. Una scelta che oggi pesa più di una sentenza, perché quella perizia – dice il legale – «avrebbe potuto salvare almeno una delle due vite».

Anche questo aspetto apre un nodo giuridico cruciale: nonostante la gravità del reato, Argentino aveva diritto – come ogni imputato – a una valutazione sulla sua salute mentale. Quel “no” ha cancellato un passaggio fondamentale del processo, negando di fatto l’accertamento della sua piena responsabilità psichiatrica mentre stava per compiere un terribile omicidio.

In un cortocircuito che solo lo Stato di diritto può spiegare, la famiglia di Stefano Argentino - proprio per effetto dell’omessa vigilanza - potrebbe ricevere un risarcimento. Al contrario, la famiglia di Sara Campanella, vista l’estinzione del procedimento penale per morte del reo, non riceverà alcuna forma di giustizia. È un effetto crudele, ma previsto dalla legge.

Comprensibile, dunque, il dolore dei genitori di Sara, come lo smarrimento della famiglia Argentino. E come auspicato dallo stesso avvocato Cultrera, solo il silenzio rispettoso potrà contenere il frastuono di questa doppia tragedia.

«Auspico solo che le due famiglie, accomunate da un immane dolore di un destino avverso, possano trovare la pace terrena in un abbraccio silenzioso di dolore, antefatto ed epilogo di un qualcosa che non sarebbe mai dovuto succedere e che avrebbe potuto essere evitato».