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Paolo Borsselino, magistrato, ucciso da Cosa Nostra nel luglio del 1992
Non basta aver inventato un'intervista a Giovanni Falcone per sostenere una tesi contro la separazione delle carriere. Ora tocca anche a Paolo Borsellino. Nell'articolo del Fatto Quotidiano che una settimana fa ha rilanciato la falsa intervista a Falcone del 25 gennaio 1992 (mai apparsa su Repubblica, come da noi verificato), viene citato anche Borsellino. Gli si attribuisce una dichiarazione rilasciata a Samarcanda, la storica trasmissione condotta da Michele Santoro, il 23 maggio 1991: “Separare le carriere significa spezzare l'unità della magistratura. Il magistrato requirente deve poter svolgere la sua funzione senza dover rendere conto al potere politico”.
Il Dubbio ha verificato nelle teche Rai. Il risultato è inequivocabile: Paolo Borsellino non solo non fu intervistato a Samarcanda in quella data, ma non è mai stato ospite della trasmissione. Un altro falso. Un'altra manipolazione. Un'altra strumentalizzazione della memoria di un magistrato ucciso dalla mafia.
Il vero pensiero di paolo Borsellino
A differenza di quanto si vorrebbe far credere, Borsellino non si espresse mai pubblicamente nel merito dell'eventuale separazione delle carriere. Non era un tema su cui aveva preso posizione. Quello che invece non nascose mai fu il suo dubbio sul nuovo codice di procedura penale - il codice Vassalli del 1989 - che Falcone invece approvava e difendeva con convinzione.
Ma attenzione: Borsellino non criticava l'impianto accusatorio in sé. Criticava alcune storture concrete che il sistema processuale aveva generato, storture che lo stesso potere politico ha poi dovuto correggere. In primis, il problema della gestione dei pentiti. Il nuovo processo accusatorio si basava sull'oralità, quindi i collaboratori di giustizia andavano protetti efficacemente. Anche Falcone aveva evidenziato questa criticità in una sua intervista proprio a “Samarcanda”.
Borsellino aveva una visione notoriamente più conservatrice rispetto al collega. Il 20 giugno 1992, il giorno della veglia per Falcone ucciso un mese prima, pronunciò parole durissime sul codice Vassalli: criticò quelle norme che “hanno fornito un alibi, dolosamente spesso, colposamente ancor più spesso, di lotta alla mafia a chi non ha voluto o non ha più voluto occuparsene”. La critica era rivolta ad alcuni suoi colleghi che avrebbero sfruttato le difficoltà del nuovo codice come alibi per non incidere davvero con le indagini.
E a proposito dell'indipendenza dal potere politico - tema centrale nella falsa citazione che gli viene attribuita - basterebbe ascoltare il faccia a faccia tra Borsellino e l'allora ministro della Giustizia Claudio Martelli, tenutosi il 5 luglio 1991 a Racalmuto, il paese di Leonardo Sciascia. L'audio è disponibile su Radio Radicale. Chiunque ascolti le parole di Borsellino in quel dibattito capisce immediatamente che la frase sulla separazione delle carriere non è nel suo stile, non corrisponde al suo modo di ragionare.
Anzi, come Falcone, non gli scandalizzava affatto l'idea che il pubblico ministero - non il giudice - potesse un giorno avere una dipendenza dall'esecutivo, come avviene in altri Paesi democratici. Ma non nell'Italia di allora. Il ragionamento di Borsellino era cristallino e pragmatico: in una situazione che molti definivano di “democrazia bloccata”, senza reale alternanza al potere, con gli stessi partiti e sostanzialmente le stesse persone che governavano da decenni, l'indipendenza del pubblico ministero rappresentava una garanzia essenziale contro il rischio che la giustizia venisse piegata agli interessi di una classe o fazione politica dominante.
Ma - e qui sta il punto - Borsellino precisava che se quella situazione politico-costituzionale fosse mutata, se si fossero create le condizioni per una vera alternanza democratica, allora difendere a tutti i costi l'indipendenza del pm sarebbe diventata una posizione meramente corporativa. Esattamente la stessa lucidità intellettuale di Falcone: non dogmi ideologici, ma ragionamenti contestuali, legati alla realtà politica e istituzionale del Paese.
Sia Falcone che Borsellino erano magistrati troppo raffinati, troppo avanti, di troppo spessore intellettuale per essere ridotti a slogan. Ragionavano in profondità, pesavano le parole, non cedevano mai alla demagogia. Trasformarli in paladini di battaglie contro la separazione delle carriere è una doppia operazione: si mistifica il loro pensiero e soprattutto gli si manca di rispetto.
Il danno delle falsificazioni
Purtroppo queste fake news hanno già fatto danni. Lo stesso magistrato Nicola Gratteri, ospite su La7, ha letto pubblicamente l'intervista falsa attribuita a Falcone. A Piazza Pulita, la trasmissione condotta da Corrado Formigli, hanno letto la falsa intervista di Borsellino. In nome dell'ideologia e delle speculazioni politiche, hanno sporcato di nuovo la memoria di due giudici uccisi dalla mafia.
Non è la prima volta che Falcone e Borsellino vengono tirati per la giacchetta a seconda delle convenienze. Ma inventare interviste inesistenti, attribuire loro frasi mai pronunciate, trasformarli in testimonial di cause che non hanno mai abbracciato è qualcosa di più grave. È una falsificazione della storia. Le parole autentiche di Falcone sulla necessità di ripensare le carriere sono documentate in interviste reali, conservate negli archivi. Come quella del 26 settembre 1990 a Repubblica, in cui disse: “Di per sé non mi scandalizzerebbe un pm dipendente dall'Esecutivo”, pur precisando che “nell'attuale momento storico, l'indipendenza del pm vada salvaguardata e protetta. Ma l'indipendenza non è un privilegio di casta”.
Nel 1988, appena varato il nuovo codice, Falcone aveva dichiarato in un convegno: “In un codice che accentua vistosamente le caratteristiche di parte del pm, è impossibile pensare che le carriere dei magistrati del pubblico ministero e quelle dei giudici potranno rimanere ancora a lungo indifferenziate”. Le fonti ci sono. Gli archivi sono accessibili. Basta avere l'onestà intellettuale di andarle a cercare e il coraggio di accettare che magari non dicono quello che fa comodo alla propria parte. Falcone e Borsellino meritano di essere ricordati per quello che hanno davvero pensato e detto, non per quello che qualcuno vorrebbe che avessero pensato e detto. Il minimo che gli dobbiamo è questo: rispetto della verità. Anche quando la verità è scomoda.


