Sono passati trent’anni, ma il suo effetto continua a farsi sentire ogni volta che un calciatore cambia maglia a parametro zero. Il 15 dicembre 1995, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea emise una sentenza destinata a riscrivere le regole del calcio e del diritto sportivo: la sentenza Bosman. Oggi, 15 dicembre 2025, quell’anniversario segna una linea di confine netta tra il calcio di prima e quello di dopo.

Con quella decisione storica, i giudici europei stabilirono che i calciatori professionisti comunitari, al termine del contratto, potessero trasferirsi liberamente senza che il club di provenienza avesse diritto a un’indennità. Non solo. Fu anche abolito il limite di giocatori comunitari per squadra, ritenuto incompatibile con i principi di non discriminazione e libera circolazione dei lavoratori sanciti dai Trattati europei.

Al centro di tutto c’era Jean-Marc Bosman, centrocampista belga del RFC Liège. Nel 1990 aveva tentato di trasferirsi al Dunkerque, ma il club bloccò l’operazione chiedendo un riscatto giudicato eccessivo. Rimasto senza squadra e con lo stipendio ridotto del 70%, Bosman decise di rivolgersi ai giudici europei, appellandosi al principio cardine dell’Unione: la libera circolazione dei lavoratori. La Corte, con la decisione C-415/93, gli diede ragione, stabilendo che il blocco dei trasferimenti per calciatori svincolati era incompatibile con l’articolo 45 del Trattato Ue e che i vincoli numerici sui giocatori comunitari erano illegittimi.

Da quel momento il calcio non è stato più lo stesso. I calciatori europei sono diventati lavoratori a pieno titolo, titolari di diritti garantiti dal diritto comunitario. Il mercato si è trasformato radicalmente: sono nati i pre-contratti, le strategie sulle scadenze, l’attenzione ossessiva alla durata degli accordi per evitare lo svincolo gratuito. Il potere contrattuale degli atleti è cresciuto, così come il peso degli agenti.

Ma la sentenza Bosman non ha inciso solo sul calcio. Ha rappresentato una svolta anche per il diritto europeo, estendendo in modo chiaro le tutele del lavoro a un settore che fino ad allora era stato considerato un’eccezione. Libera concorrenza, mobilità e parità di trattamento sono entrate stabilmente nel lessico dello sport professionistico.

Nel corso degli anni, però, non sono mancate le critiche. Molti dirigenti hanno indicato la Bosman come una delle cause della perdita di identità dei club, dell’aumento dei costi e dello squilibrio crescente tra grandi società e realtà minori. Trent’anni dopo, il calcio è indubbiamente più globale e più ricco, ma anche più diseguale.