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È attesa per l’autunno la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che potrebbe cambiare radicalmente il destino di circa 300.000 docenti italiani. Al centro del giudizio c’è la valutabilità ai fini della carriera e dello stipendio del servizio pre-ruolo svolto nelle scuole paritarie. La questione è tornata d’attualità dopo che, lo scorso 5 giugno, l’avvocato generale della Corte ha affermato che la normativa italiana non violerebbe le direttive europee, escludendo la necessità di un adeguamento.
Una conclusione che il sindacato Anief contesta con forza. «Per i nostri legali e per tutta l’Anief, le cose non stanno così – afferma il presidente nazionale Marcello Pacifico – perché quel servizio deve essere riconosciuto a pieno titolo». Anche gli avvocati Walter Miceli e Fabio Ganci, legali del sindacato, evidenziano che «la legge italiana non riconosce pienamente quegli anni, nonostante le scuole paritarie facciano parte del sistema pubblico d’istruzione».
La normativa attuale, infatti, riconosce il servizio prestato solo nelle scuole primarie paritarie che, entro il 31 agosto 2008, avevano anche lo status di scuole parificate. In tutti gli altri casi, il servizio prestato non viene valutato per la ricostruzione della carriera.
La svolta è arrivata il 14 agosto 2023, quando il Tribunale di Padova ha rimesso la questione alla Corte Ue, accogliendo un ricorso patrocinato dall’avvocato Nicola Zampieri con il sostegno dell’Anief. L’obiettivo: ottenere un’interpretazione conforme ai principi dell’Unione Europea, in particolare alla Carta dei diritti fondamentali e all’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato.
In attesa della decisione definitiva, gli esperti legali consigliano ai docenti di non presentare subito ricorsi, ma di interrompere la prescrizione quinquennale sulle differenze retributive per non perdere eventuali arretrati. La via consigliata è l’invio di una diffida specifica, con riferimento agli articoli 20 e 21 della Carta dei Diritti Ue e alla clausola 4 dell’Accordo Quadro.
L’impatto economico del riconoscimento su larga scala è stimato in 2,5 miliardi di euro, secondo la stampa specializzata. Ma gli avvocati Anief ribadiscono: «Le ragioni finanziarie non possono giustificare la violazione dei diritti fondamentali».