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L'anarchico Alfredo Cospito durante un'udienza del processo
«Reato di abbraccio»: ancora non è nel nostro codice ma è questo che ci viene in mente pensando a quanto successo ai due avvocati dell’anarchico Alfredo Cospito, Flavio Rossi Albertini e Maria Teresa Pintus.
Entrambi sono stati segnalati, su input del Gom (Gruppo operativo mobile della Polizia penitenziaria), dalla direzione del carcere di Sassari all’Ordine degli avvocati per aver salutato il loro assistito, ristretto al 41bis, con due baci sulle guance e una stretta di mano al termine di un colloquio. Due “esposti” pressoché identici - uno del 2024, l’altro di giugno 2025 - aventi ad oggetto: «segnalazione comportamento». Obiettivo? Molto probabilmente intimidire i difensori e annichilire i detenuti.
«Tenuto conto della caratura criminale dei soggetti ristretti presso il reparto 41 bis di questo istituto - si legge nelle due comunicazioni - ed il significato intrinseco che può avere tale saluto, si chiede di valutare se il comportamento dell’avvocato sia deontologicamente corretto, anche al fine di dare le opportune indicazioni al personale di Polizia penitenziaria che con abnegazione e professionalità assicura la vigilanza dei detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41 bis».
Come è noto, quando i reclusi al carcere duro incontrano i familiari lo fanno divisi da un vetro e non possono avere nessun contatto con loro. Gli avvocati sono gli unici che possono avere un minimo di vicinanza che dura poi pochissimi secondi. «Verso Alfredo Cospito ho manifestato empatia umana salutandolo con una stretta di mano e con due bacetti sulle guance. Lo saluterò sempre con affetto in quanto non intendo rendermi complice della sua deumanizzazione, delle politiche di annientamento del detenuto», ha commentato Rossi Albertini.
Della stessa idea la sua collega Pintus: «Stanno facendo tutto questo per annientare l’unico gesto di umanità che questi detenuti possono ricevere. Non esiste alcun divieto di assumere questi atteggiamenti. Quando due agenti del Gom sono piombati lo scorso anno nella saletta dell’incontro per redarguirmi del gesto, peraltro partito su iniziativa di Alfredo, ho chiesto di parlare con l’ispettore e di mostrarmi la normativa. Non hanno fatto nessuna delle due cose. Hanno richiuso la porta e sono andati via. Da allora ho continuato a salutare Alfredo in quel modo. Perché non mi hanno detto nulla per tutto questo tempo? Significa allora che in realtà non rilevano alcun significato intrinseco nel gesto, vogliono solo fiaccare i detenuti e scoraggiare noi avvocati dal compiere gesti di umanità». Anche perché i due legali dovranno comunque affrontare un procedimento disciplinare davanti alla commissione preposta del Coa.
Diverse le reazioni sulla vicenda. Per Luigi Manconi, sociologo dei fenomeni politici, già presidente della commissione parlamentare sui Diritti umani che a lungo si è occupata del regime di carcere duro in chiave critica, «esiste un codice deontologico per quanto concerne i rapporti tra legale e assistito, ma è tutt’altra cosa e non sembra proprio che Rossi Albertini abbia violato alcuna norma. Per quanto riguarda quindi i suoi gesti, a mio avviso, rientrano interamente nella piena autonomia individuale e se dunque un avvocato prova affetto per un suo assistito nessuno può permettersi di censurare quelle manifestazioni. Il resto è oscurantismo che arriva a immaginare che tra accusato e suo legale debba esserci un rapporto di inimicizia. È follia».
Di «gravissimo allarme» ha parlato l’Unione delle Camere penali aggiungendo che è «ancor più grave l’idea» «di totale disumanizzazione della persona del condannato, identificato esclusivamente con il suo reato e per questo privato di ogni sua residua umanità e dignità, anche nei rapporti con il proprio difensore». «Dobbiamo forse attenderci che venga vietato stringere la mano a un detenuto e che venga imposto di non chiamarlo per nome, così come era nel Regolamento penitenziario del 1930?», conclude l’Ucpi.
Critico su quanto successo anche Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale all’Università degli Studi di Milano: «Nella nostra Costituzione sta scritto che le pene non devono essere contrarie al senso di umanità. E salutare una persona reclusa come si farebbe con una libera è semplicemente... umano. Attenzione a non perdere il nostro senso di umanità verso i detenuti. Con un gesto potente ce lo ha ricordato Papa Francesco, lavando i piedi dei detenuti a Rebibbia. Ecco, quel gesto e questa notizia sono sideralmente distanti». Aggiunge l’ex consulente giuridico dell’allora ministra Cartabia: «La prossima volta che come professore andrò in carcere a fare l’esame a uno studente detenuto, come non di rado mi capita, dovrò stare attento a dargli la mano alla fine, anche se prende 30? Per fortuna che non c’è più l’usanza del bacio accademico! Altrimenti...».
Per Maurizio Turco, segretario del Partito Radicale, «Eugene Ionesco, il padre del teatro dell’assurdo non sarebbe riuscito ad arrivare a tanto. Forse l’avvocato è venuto meno a quel dovere non scritto di dare il proprio contributo al trattamento inumano e degradante nei confronti dei detenuti in 41bis?». Ma non tutti gli avvocati avrebbero compiuto lo stesso gesto di Pintus e Rossi Albertini come si evince dai commenti su Facebook. Secondo Francesco Mazza, «la segnalazione mi pare eccessiva ma il comportamento dei legali è inopportuno. Mai baciato un mio assistito detenuto né in aula né in carcere». Scrive Marco Negrini: «Non ho mai assunto confidenze amicali con un cliente. Senza far mancare rispetto e in qualche caso empatia. Le trovo sbagliate e in qualche caso “pericolose”».